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Il (non) ciclo dei rifiuti: come uscire dall'attuale sistema
di Aldo Lenzo | 28/05/2013 | AMBIENTE
di Aldo Lenzo | 28/05/2013 | AMBIENTE
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In Italia e ancor più in Sicilia la gestione del ciclo dei rifiuti è emblematica delle tante contraddizioni che caratterizzano il nostro Paese: il servizio non migliora mentre i costi a carico delle famiglie continuano a crescere. In particolare, i costi crescono proprio nelle zone del Paese con reddito più basso. Ad esempio, nel 2012, nel comune di S. Teresa di Riva l’aumento è stato del 25%. In realtà, incrementi sulla tariffa dei rifiuti si registrano ovunque, dimostrando la mancanza di una politica per la gestione dei rifiuti, capace di legare gli elementi di costo ad elementi di efficienza e qualità del servizio, per il beneficio di coloro che continuano ad operare in assoluta mancanza di trasparenza. In Sicilia il ciclo dei rifiuti è stato definito “non ciclo” in quanto i rifiuti vengono conferiti in discarica e vi sono percentuali di raccolta differenziata bassissime in quasi tutti i Comuni. La media è del 7,2% mentre l’obiettivo di legge per il 2012 è del 65%. E l'Europa ci multa Non differenziare e riciclare adeguatamente rappresenta non solo costi ambientali, perdita di competitività e aumento dei costi di gestione, ma anche il rischio di multe. Infatti, nel mese di ottobre 2012, la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia per il mancato rispetto degli obiettivi di riduzione dell’uso delle discariche. Questo comporterà il pagamento di una multa di 56 milioni di euro e un’ammenda giornaliera di 256 mila euro da pagare fino al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalle direttive europee. La multa sarà fatta pagare pro quota alle regioni responsabili dell’infrazione. La Sicilia pagherà la quota più salata in ragione di un disallineamento di 58 punti della raccolta differenziata rispetto agli obiettivi di legge.Da una ricognizione dei costi di servizio della gestione rifiuti per ogni singolo ATO, effettuata dal Dipartimento dell’acqua e dei rifiuti nel novembre del 2010, emergono due dati che evidenziano lo stato di crisi dell’attuale sistema, ovvero i due parametri relativi al costo del servizio espresso in €/abitante pari a € 142,14 , ed il costo in rapporto alle tonnellate complessive dei rifiuti urbani pari a € 276,33. Ciò a fronte di un costo medio nazionale rispettivamente di 126,90 €/abitante e di 232,50 €/ton. Il surplus di costi sopportati dai siciliani è notevolmente significativo. Ciò è dovuto al fatto che restano marginali o del tutto assenti le voci che ingenerano economie e profitti (es. recupero di materie e di energia) mentre tendono sempre a lievitare le voci costi (raccolta, conferimento e smaltimento).Una via di uscita dall’attuale contesto della gestione dei rifiuti sta nella capacità di pianificare la realizzazione di infrastrutture per attivare quei segmenti della gestione integrata dei rifiuti che ingenerano economie e profitti, e nell’adottare un nuovo modello di raccolta differenziata. Scelte sbagliate e clientelismo: il flop degli Ato Nella nostra Regione la politica dei rifiuti si è sempre caratterizzata per scelte sbagliate che hanno provocato indebitamento e clientelismo, e una gestione incentrata su inceneritori e discariche. Il problema rifiuti in Sicilia non è recente. Già nel 1984 la Regione si era dotata di un Piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti che non ha mai avuto attuazione. Prima della nascita dei 27 ATO e delle relative società d’ambito il 31 dicembre del 2002, molti costi del “servizio di igiene urbana” venivano nascosti in altre partite di bilancio: i carburanti rientravano in una voce a parte; molti servizi di pulizia erano inseriti in progetti obiettivo; molti costi del personale precario non erano a carico dei Comuni ma della Regione; lo spazzamento costituiva una voce a se stante, ed il conferimento in discarica dei rifiuti chiaramente indifferenziati, avveniva per la maggior parte dei casi in “discariche comunali”. Uno dei pochi effetti del Piano del 2002 fu la riduzione del numero delle discariche nella regione, da circa 300 a poco meno di 20.L’avvio delle attività delle società d’ambito è stato molto difficile. A parte il disorientamento generale, uno degli ostacoli è stato l’errata interpretazione del ruolo degli ATO da parte dei sindaci e dei funzionari dei Comuni. In generale gli amministratori dei comuni hanno considerato gli ATO una controparte e non una società di cui essi stessi erano proprietari. Ciò ha avuto come conseguenza deresponsabilizzazione, una scarsa collaborazione, la diffidenza ad accettare nuove regole, un agguerrito sbarramento a riconoscere i nuovi (maggiori) costi del servizio discendenti dal cambiamento del sistema di gestione dei rifiuti rispetto al sopracitato precedente periodo, cui erano abituati gli Enti locali siciliani.Questo era (ed è) lo scenario che la nuova Legge Regionale 8 aprile 2010 n. 9, modulata nel rispetto delle Direttive comunitarie e degli adempimenti della vigente normativa nazionale, si prefigge di cambiare. In ragione di ciò, la riforma prevista dalla Legge regionale n. 9/2010 e dalle successive modifiche e integrazioni è stata incentrata: sulla riduzione degli ATO, che da 27 sono stati ridimensionati a livello provinciale (9 + 1) e infine portati a 18; sull’individuazione del soggetto gestore da parte delle SRR (Società di regolamentazione del servizio) o da parte degli ARO (Aree di Raccolta Ottimale che possono essere costituite all’interno dell’ATO di riferimento dai Comuni in forma singola o associata) relativamente al servizio di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti urbani o assimilabili. Una riforma che stenta a decollare Ad oggi tale riforma tarda a trovare completa applicazione a causa di forti resistenze da parte di numerose amministrazioni e dei ritardi nell’approvazione degli statuti, dei Piani d’ambito e degli atti preliminari per la costituzione delle Società di Regolamentazione e delle eventuali Aree di Raccolta Ottimale. Considerata la situazione fallimentare riguardante la raccolta dei rifiuti urbani ferma ancora a meno del 10% (anche nel comprensorio jonico) a causa di vari fattori tra cui l’attuale metodo (stradale) di raccolta, l’inadeguatezza delle strutture per lo svolgimento della raccolta differenziata, l’insufficienza di attrezzature e mezzi funzionali alla crescita della raccolta differenziata, la totale assenza di progettualità circa la pianificazione delle raccolte sia in ambito comunale che intercomunale, la mancanza di impianti per il trattamento della frazione organica e del secco, nonché l’approssimarsi della cessazione definitiva delle attività in capo alle Società d’Ambito prevista per il 30 settembre 2013, gli Amministratori comunali sembrano essere impreparati ad organizzare la fase di “start up” del nuovo corso e sembrano non capire che la responsabilità del servizio erogato ai propri cittadini e del raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata sta in capo a loro.La possibilità di poter istituire un ARO costituisce una opportunità che andrebbe sfruttata dai Comuni del comprensorio jonico. Essi dovrebbero associarsi per assumere la governance dei servizi di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti, definendo preventivamente la dimensione dell’Area di Raccolta, con l’obiettivo di realizzare economie (anche mediante l’affidamento “in house”), efficienza ed efficacia del servizio oltre che un controllo diretto sullo stesso. La riapertura delle discariche comunali, e in particolare la paventata apertura della discarica di Ligoria, a S. Teresa di Riva, per abbassare i costi della tassa sui rifiuti, rappresenta un grave errore. L’uso delle discariche per il rifiuto indifferenziato deve essere assolutamente evitato. Le priorità devono essere politiche di riduzione, riuso e riciclo, il munirsi di impianti di compostaggio e di trattamento meccanico biologico. Solo materiali non riciclabili possono finire in discarica fin quando non si provvederà ad eliminarli dalla produzione.