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Aprì il suo atelier in centro nel 1976. Ha vestito personalità di tutto il mondo


Da Fiumedinisi a Milano: morto Tindaro De Luca, l’ultimo dei grandi sarti

di Andrea Rifatto | 07/05/2018 | ATTUALITÀ

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Tindaro De Luca

Dall’emiro che vive a Londra al magnate degli orologi a Ginevra, dal violinista di Berlino all’uomo di Stato a Riad. Tindaro De Luca, l’ultimo dei grandi sarti, ha servito con passione vip, potenti della terra o semplicemente persone che amavano vestirsi bene. Se n’è andato ieri, all'età di 70 anni, a Milano città dove si era trasferito a 22 anni partendo dalla sua Fiumedinisi. Nella capitale della moda aprì la sua prima sartoria nel 1976 in corso Matteotti e poi dal 1997 in via Del Gesù, nel quadrilatero della moda a due passi da via Montenapoleone, il Teatro Alla Scala e il Castello Sfrozesco. Nel suo atelier al primo piano di un antico palazzo ha lavorato immerso tra almeno 4000 tagli di stoffa, tra i più rari e pregiati che si possano trovare in circolazione. L’annuncio della sua morte è stato dato dalle figlie e dai familiari. I funerali del “maestro” si terranno oggi a Milano alle 14.45 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Passione: la salma rimarrà esposta per le visite nella Casa Funeraria Milano, in piazza Mistral 9, sino alle ore 14 di oggi. Poi, dopo le esequie, sarà trasferita nel cimitero di Fiumedinisi. “Mi mancherà tantissimo, mi mancheranno le nostre lunghe chiacchierate sulle stoffe introvabili e sui tagli originali che pochi sanno apprezzare” ha commentato un amico milanese.

Il maestro Tindaro De Luca è stato l’ultimo dei grandi sarti, uno di quelli che può dire di costruire un abito interamente a mano, senza trucco e senza inganno. Si trasferì a Milano per perfezionare l’apprendistato con Giovanni Risuglia, sarto catanese diventato capo tagliatore per Domenico Caraceni. Il suo studio, grazie a lui, è stato il tempio dell’eleganza su misura. Da molti è stato definito il “rabdomante” dei tessuti, con una particolare predisposizione nel trovarli e nello sceglierli. “Mi fa piacere pensare di essere l’ultimo dei grandi sarti – disse in un’intervista di alcuni anni fa – dopo la mia generazione non c’è più nessuno che fa abiti per vestire la persona e non le persone, come fa la confezione. Faccio il mio lavoro da artigiano che è quello di continuare la tradizione dei grandi sarti. Ogni abito è una storia, è un confrontarsi con la persona, non è un lavoro in serie. Siamo io e tre metri e mezzo di stoffa su un tavolo che ci sfidiamo e ci guardiamo: da lì deve venire fuori il vestito. La mia forza è saper fare l’abito dalla A alla Z. Sono rimasto l’unico per qualità di costruzione dell’abito. Ho un sistema che non ha nessuno. Io non predico la quantità, l’artigiano deve competere sulla qualità assoluta. Il mio vestito è tutto fatto a mano, di cucito a macchina, con una antica Singer che ha più di settant’anni, ci sono soltanto le gambe dei pantaloni. Ma più che la confezione - diceva - mi fanno arrabbiare certi sedicenti sarti, che prendono dei lavoranti qualunque e dicono di fare gli abiti su misura. Quelli sono dei millantatori, non sono artigiani. E ce ne sono tanti”. 


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