Abitazioni di Santa Teresa invase dalla fogna: diventa definitiva la condanna del Comune
di Andrea Rifatto | oggi | ATTUALITÀ
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Le abitazioni colpite dalla fuoriuscita
Diventa definitiva la condanna del Comune di Santa Teresa di Riva nella vicenda delle abitazioni che nel 2009 furono invase dalla fognatura, a causa delle acque nere e bianche che esondarono da un canale di scolo delle Ferrovie dello Stato del 1879, che da Torrevarata arriva alla spiaggia passando a fianco dei fabbricati. La Cassazione ha infatti dichiarato estinto il giudizio dopo che i ricorrenti, i coniugi Antonina Rigano e Salvatore Turnaturi, difesi dagli avvocati Santa Chindemi e Paolo Falzea, non hanno chiesto entro il termine la decisione del ricorso a seguito della proposta di definizione del giudizio avanzata dai giudici. Ciò ha determinato il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’appello di Messina, impugnata dai proprietari delle abitazioni, che nel settembre 2023 ha ridotto parzialmente la condanna inflitta in primo grado all’ente. La Cassazione ha inoltre imposto ai privati il pagamento al Comune di 2mila euro di spese di giudizio per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in 200 euro e agli accessori di legge. Nel 2019, in primo grado, il Tribunale di Messina aveva condannato il Comune a pagare 76mila 929 euro tra risarcimento danni per l’omessa custodia del canale di scolo, mancato godimento degli edifici, spese legali e consulenze, ma l’ente ha impugnato la sentenza con l’avvocato Santi Delia e nel 2023 la Corte d’appello ha accolto parzialmente le richieste dell’Amministrazione comunale e ha riformato il verdetto, riducendo le somme da versare ai privati. Sia in primo che in secondo grado, infatti, è stata riconosciuta la responsabilità del Municipio per i danni agli immobili (“risulta provato che il canale di scolo, la cui custodia era in capo al Comune, ha causato il danno e il Comune, cui incombeva l’onere probatorio, non ha provato che tali danni sono stati causati dal caso fortuito”) e l’obbligo di eseguire i costi per alcuni lavori “necessari per ripristinare la vivibilità e salubrità dei locali e rientranti tra i costi relativi ai danni provocati dall’allagamento”, per un totale di 28mila 562 euro oltre Iva e competenze tecniche da devalutare alla data dell’evento dannoso, interessi legali sulla somma devalutata e rivalutazione monetaria da tale data al soddisfo, a titolo di risarcimento del danno subito dall’immobile danneggiato. La Corte aveva invece accolto le tesi difensive dell’avvocato Delia in merito alla condanna del Comune al pagamento di 28mila 840 euro per il mancato uso degli immobili danneggiati, «per mancata allegazione e prova del danno (mancato godimento dell’immobile diretto o indiretto)» e visto che è emerso come «gli immobili presentassero già prima dell’alluvione problemi di ammaloramento, infiltrazioni d’acqua prolungate nel tempo che certamente non possono essere imputabili all’allagamento seppur violento e perdurato per più giorni, gravi lesioni strutturali, con uno degli immobili non possiede i requisiti tali da considerarsi abitabile”, escludendo quindi qualsiasi forma di risarcimento per il suo mancato uso. L’ente era stato inoltre condannato a pagare 8mila 469 euro per spese processuali di primo grado e 6mila 946 euro per consulenze e spese dell’appello.