Al "Premio Zappalà" 40 anni di stragi, Borsellino: "Non avrò verità e giustizia per Paolo"
di Andrea Rifatto | 05/08/2022 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 05/08/2022 | ATTUALITÀ
895 Lettori unici
Caminiti, Borsellino, Orlandi e D'Arrigo
Quarant’anni di storia italiana condensati in poche ore, con tre tragedie che hanno scosso l’Italia raccontate da chi le ha vissute da vicino. È stata una serata colma di emozioni quella della 17esima edizione del “Premio Zappalà” nel giardino di Villa Crisafulli-Ragno a Santa Teresa di Riva, organizzata dall’associazione “Amici di Onofrio Zappalà” per ricordare la strage di Bologna del 2 agosto 1980, nella quale perse la vita il 27enne Onofrio, ma anche il 30esimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio e il 20esimo dell’uccisione di Marco Biagi. Ospiti dell’evento Salvatore Borsellino (fratello di Paolo) e Marina Orlandi (vedova di Biagi), accolti dal presidente e dal vicepresidente dell’associazione fondata dai compagni di classe di Zappalà, Antonello D’Arrigo e Natale Caminiti, che quest’anno avrebbero festeggiato con lui i 50 anni dalla maturità classica. A porgere un saluto i sindaci di Sant’Alessio Siculo e Santa Teresa di Riva, Domenico Aliberti e Danilo Lo Giudice: quest’ultimo ha annunciato la volontà di intitolare una via a Zappalà, nato nel 1953 nella cittadina jonica prima di trasferirsi qualche anno dopo nel centro alessese, accogliendo la proposta presentata in municipio martedì da Salvatore Coglitore. La strada che gli verrà dedicata sarà quella a fianco dei licei. Presente alla manifestazione anche il comandante della Compagnia Carabinieri di Taormina, il capitano Giovanni Riacà. D’Arrigo e Caminiti hanno ricordato il percorso dell’associazione nata nel 2005 e l’impegno nel cercare verità e giustizia per tutte le vittime di mafia e terrorismo, tra mille ostacoli. Marina Orlandi ha raccontato chi era Marco Biagi, giuslavorista assassinato dalle Br, e la lontananza delle istituzioni in quegli anni: “Mio marito è stato abbandonato dallo Stato, ha supplicato di avere la scorta e gliela hanno tolta quanto era divenuto bersaglio e riceveva minacce, è imperdonabile che le persone che avrebbero dovuto proteggere Marco non lo abbiano fatto”. Commovente l’intervento di Borsellino, accompagnato dal Movimento Agende Rosse “Graziella Campagna” di Messina, che ha ricordato i tanti depistaggi e le collusioni tra Cosa nostra e Servizi segreti deviati, che finora non hanno permesso di fare piena luce sulla morte del fratello Paolo: “Questo è uno degli anni peggiori dal 1992 - ha detto - con tanti accadimenti che mi hanno fatto capire che non riuscirò ad avere nè verità nè giustizia, due processi che sono stati per me dei colpi durissimi: la sentenza di appello a Palermo sulla trattativa Stato-mafia con l’assoluzione dei funzionari dello Stato perchè il fatto non costituisce reato, la motivazione peggiore, e a Caltanissetta la prescrizione e l’assoluzione dei tre poliziotti, con la caduta dell’aggravante mafiosa della calunnia, nel processo sul depistaggio di via d’Amelio. La trattativa c’è stata, i mafiosi e gli intermediari sono stati condannati, ma non è reato per i funzionari dello Stato - ha detto Borsellino - lo scenario peggiore che potessi immaginarmi. Sono sicuro che mio fratello è stato ucciso perchè aveva scoperto quella trattativa e si sarebbe opposto in ogni modo. Hanno trattato con la mafia e quella trattativa ha portato alla necessità di eliminare Paolo. A 30 anni di distanza sono stati assicurati alla giustizia alcuni di quelli che l’hanno ucciso ma ancora non si sa neanche chi ha premuto il telecomando, chi ha preso l’agenda rossa, alcuni di quelli che materialmente hanno ucciso Paolo. Ma non ho perso la speranza che possano venire fuori gli altri colpevoli - ha evidenziato il fratello del magistrato - non mi manca molto per andarmene e la speranza la affido ai giovani: per questo vado nelle scuole, sicuro che loro potranno riuscire a sentire quel fresco profumo di libertà per il quale mio fratello ha sacrificato la sua vita”. Alla serata è intervenuto telefonicamente anche Giovanni Paparcuri, autista di Rocco Chinnici sopravvissuto all’attentato al magistrato nel 1983 e poi collaboratore di Giovanni Falcone, che cura il museo realizzato nel bunkerino del Tribunale di Palermo dove Falcone e Borsellino lavorarono al maxiprocesso.