Martedì 03 Dicembre 2024
Decreto del Tribunale, l'ultima parola al Ministero. I sindaci provano a salvarlo


Chiuso il giudice di pace di Alì Terme: il territorio paga l'incapacità della politica

di Andrea Rifatto | 22/02/2020 | ATTUALITÀ

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L'incontro tra i sindaci ad Alì Terme

Incontri, scontri, confronti, parole. Tutto inutile. Il destino dell’Ufficio del giudice di pace di Alì Terme era segnato già da tempo e adesso si è concretizzato. Il presidente facente funzioni del Tribunale di Messina, Mario Samperi, ha firmato il decreto che dispone dal 29 febbraio l’interruzione di tutte le attività e il trasferimento a Messina, evidenziando che “non sussistono più le condizioni per il funzionamento e per la corretta e puntuale erogazione del servizio giustizia, stante l’assenza di personale dotato di adeguata formazione professionale, messo a disposizione dagli enti comunali facenti parte dell’Unione dei Comuni delle Valli Joniche dei Peloritani”. Dunque “nelle more dell’emanando provvedimento ministeriale di chiusura dell’Ufficio del giudice di pace di Alì Terme” il presidente ha disposto che “dal 29 febbraio non si tengano altre udienze né rinvii di altri procedimenti a udienze già fissate e che i nuovi affari siano iscritti a ruolo presso l’Ufficio del giudice di pace di Messina”. Il trasferimento riguarda anche tutti i servizi amministrativi. Già il Ministero della Giustizia aveva rilevato “l’assoluta inadeguatezza del personale amministrativo” e gli ispettori inviati da Roma, nella relazione sul periodo 1 aprile 2017-30 settembre 2018, hanno scritto come “il personale assegnato non ha una formazione giuridica, non ha competenze acquisite da esperienza pregressa e soltanto una unità ha fruito della formazione iniziale. Il personale comunale, sconoscendo i servizi di cancelleria e i meccanismi del procedimento giurisdizionale (civile e penale) ha portato avanti, non senza difficoltà, prevalentemente (se non, in alcuni casi, esclusivamente) gli adempimenti prodromici al provvedimento giurisdizionale e ha trascurato o tralasciato del tutto l’esecuzione delle sentenze e la gestione dei connessi servizi amministrativi”. Dunque il Tribunale di Messina ne ha preso atto e ha disposto il trasferimento.

Sul banco degli imputati non possono che esserci i sindaci dei 17 comuni che cinque anni fa avevano raggiunto l’intesa con l’Unione dei Comuni per riaprire l’ufficio. Un impegno che non sono stati capaci a mantenere per garantire la sopravvivenza del presidio, fornendo il personale necessario, tra cancellieri e operatori, per assicurare ai giudici il regolare svolgimento delle udienze e delle attività d’ufficio. In questi anni si sono alternati diversi impiegati comunali ma non è stata mai raggiunta la necessaria stabilità per gestire un servizio delicato come quello della giustizia, che richiede adeguata formazione e professionalità. Prestare servizio al giudice di pace di Alì Terme per gli impiegati dei comuni coinvolti era ormai diventato quasi un timore e solo un paio si erano dichiarati disponibili ad essere distaccati all’Ufficio. Senza contare che l’Unione è creditrice di quasi 90mila euro di quote arretrate per i canoni di gestione non versati dalle amministrazioni comunali. A poco è servita la lettera inviata nei giorni scorsi dal presidente dell’Unione, il sindaco di Antillo Davide Paratore, per chiedere al Tribunale di Messina di mantenere aperto il presidio. Una sconfitta per tutti, cittadini, operatori di giustizia, avvocati e per l’intero territorio jonico, che paga l'incapacità della politica. Questa mattina i sindaci si sono incontrati a Sant’Alessio (erano assenti solo i rappresentanti dei comuni di Savoca, Forza d’Agrò e Limina) per capire se vi siano ancora speranze: “Non siamo riusciti a dare una risposta pronta e concreta al territorio, con il quale avevamo preso impegni – commenta Paratore – ma vogliamo lottare fino alla fine. Lunedì l’Unione dei Comuni invierà una lettera al Ministero per chiedere se sia possibile avere almeno un’unità di personale formata e se si possa rivedere la convenzione stipulata tra i Comuni per la gestione dell’Ufficio. Quello del personale è il vero problema - evidenzia il presidente dll'Unione - e da quando è andato via il dipendente del Comune di Scaletta la situazione è peggiorata; vi sono anche difficoltà con le quote pregresse ma durante il mio mandato sono riuscito a far diminuire il credito e di recente alcuni Comuni hanno versato delle somme. Adesso speriamo che il Ministero ci dia una risposta positiva e chiederemo anche un incontro”. Ma le possibilità sono davvero minime, alla luce della stessa relazione degli ispettori ministeriali.

L’Ufficio del Giudice di Pace di Alì Terme era stato riaperto l’1 aprile 2017 dopo essere stato soppresso dal Governo nazionale con decreto legge del 21 dicembre 2014, che disponeva il trasferimento delle competenze a Messina. Con decreto del 27 maggio 2016 l’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva ripristinato l’Ufficio vista la richiesta di riapertura presentata il 30 luglio 2015 dall’Unione dei Comuni delle Valli Joniche dei Peloritani, che ha riunito 17 comuni del comprensorio formulando una proposta in base a quanto previsto dal Ministero, che aveva lasciato la possibilità agli enti locali interessati, anche consorziati, di richiedere il mantenimento degli Uffici del giudice di pace facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia, incluso il fabbisogno del personale amministrativo messo a disposizione dagli enti. L’Unione dei Comuni aveva quindi coinvolto 11 dei 12 centri facenti parte dell’ente sovracomunale (Antillo, Casalvecchio, Forza d’Agrò, Furci, Limina, Mandanici, Pagliara, Roccalumera, Sant’Alessio, S. Teresa, Savoca), a cui si sono uniti Nizza, Fiumedinisi, Alì, Alì Terme, Scaletta e Itala, mentre Roccafiorita si era associata all’iniziativa per la riapertura della sede di Taormina. Le singole amministrazioni avevano poi approvato uno schema di convenzione (ad eccezione di Limina e Mandanici) per la gestione associata dell’Ufficio, i cui locali sono di proprietà del Ministero della Giustizia, confermando la volontà di accollarsi le spese per il personale e la gestione dei locali.


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