Il sogno del casinò a Taormina e i danni chiesti allo Stato: la Cassazione chiude il caso
di Andrea Rifatto | ieri | ATTUALITÀ
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Momenti di gioco in quei due anni a Villa Mon Repos
In quel “biennio d’oro”, tra il 1963 e il 1964, divenne meta di star internazionali, divi, starlette del cinema italiano, celebri artisti dell’epoca e alta aristocrazia, ma il sogno durò poco. Il casinò di Taormina, ospitato a Villa Mon Repos, rimane nella storia della città con i suoi fasti e le gesta del cavaliere Domenico Guarnaschelli, fondatore della casa da gioco. E a 60 anni dalla sua chiusura, cala il sipario anche su una contesa giudiziaria ancora aperta. La Corte di Cassazione, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla moglie, Maria Francesca Internicola, sua erede universale come tale riconosciuta all'esito di una transazione con la figlia, che difesa dall’avvocato Filippo Tortorici tentava da anni di ottenere una pronuncia contro il Dipartimento per il Turismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che affermasse l'esistenza di un danno risarcibile in conseguenza dell'impossibilità di far valere i diritti nascenti dalla transazione conclusa tra Guarnaschelli e l’Ente Turistico Alberghiero per la Libia, oltre alla responsabilità dello Stato italiano per aver provocato con la propria condotta tale pregiudizio, sia sotto il profilo del danno emergente che del lucro cessante. In forza di quell’accordo, dal febbraio 1963 al 7 gennaio 1965 il cavaliere Guarnaschelli esercitò il suo diritto, aprendo il casinò a Taormina. La casa da gioco venne però definitivamente chiusa nel 1965 perché nei confronti del cavaliere, ritenuto privo di autorizzazione ad esercitare il gioco d’azzardo, venne intrapresa un'azione penale a seguito della quale il procuratore della Repubblica di Messina dispose il sequestro degli arnesi e degli oggetti destinati all'esercizio del casinò, oltre al denaro da esso proveniente, determinando così la chiusura del locale. Assolto da ogni accusa, nel 1996 Guarnaschelli chiese ed ottenne dal Comune di Letojanni la licenza per poter continuare a condurre la stessa attività nel comune limitrofo, ma morì l’8 maggio 1997. Già nel 2015 il Tribunale di Palermo ha rigettato la domanda di Maria Francesca Internicola, così come la Corte d'Appello nel 2021, e adesso la Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado, condannando la ricorrente alle spese, ribadendo che “per altri casinò, come quello di Saint Vincent, esiste una norma legislativa ad hoc, invece assente nel caso di Taormina, e in difetto di una norma legislativa non può essere attribuita validità alla transazione stipulata con l’Etal”, che non attribuiva al cavaliere Guarnaschelli un diritto soggettivo immediatamente efficace ad esercitare l’attività commerciale di gestione di una casa da gioco, ma ne condizionava l’esercizio ad accordi da stipulare con altri organi ed enti pubblici e privati. Accordi che non risultano essere mai stati stipulati. Chi era Domenico Guarnaschelli
Il cavaliere Domenico Guarnaschelli era un profugo dell’ex territorio italiano di Libia, dove, negli Anni ‘30, gestiva il casinò municipale di Tripoli. La gestione gli venne sottratta dall’Etal (Ente Turistico Alberghiero per la Libia) e cessato il governo fascista, Guarnaschelli intraprese un’azione giudiziaria per veder condannare l'Etal al risarcimento dei danni patiti per l’imposta interruzione dell’attività. Le parti giunsero ad una transazione con cui l’Etal, assumendo un impegno qualificato come irrevocabile, riconobbe il diritto del Guarnaschelli ad esercitare l'attività del gioco d'azzardo in Italia ed in Libia, in virtù di titoli ed accordi da stipulare con enti statali, regionali, comunali e privati per un periodo di 20 anni rinnovabile. Transazione che ottenne il placet dal Ministero dell'Africa Italiana.