Impianti di depurazione, Sicilia bocciata
di Andrea Rifatto | 23/10/2014 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 23/10/2014 | ATTUALITÀ
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Sono 431 gli impianti esistenti nell'Isola: il 20% sono inattivi
Trecentonovanta comuni, cinque milioni di abitanti, con il 60% dei residenti concentrato nelle province di Palermo, Catania e Messina: è il contesto di riferimento raffigurato nel Rapporto 2013 sulle attività di controllo presso gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane, stilato da Arpa Sicilia con il supporto delle strutture territoriali dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. Documento da cui si evince già in premessa che nell’Isola la popolazione residente servita da un impianto di depurazione è pari al 61% del totale, con 431 depuratori censiti in ambito regionale, di cui il 20% non attivi. Le soluzioni? Le criticità segnalate dalle strutture territoriali di Arpa Sicilia sono principalmente legate a problemi di natura gestionale e strutturale e non riconducibili a circostanze imprevedibili: dovrebbero essere affrontate pertanto nell’ambito di un’apposita attività di pianificazione strategica e manutenzione programmata da parte degli enti proprietari e gestori degli impianti. Laddove non esistono al momento strutture per il trattamento dei reflui urbani, servirebbero invece interventi strutturali e il reperimento di ingenti risorse economiche a sostegno. La Giunta regionale ha già deliberato la realizzazione degli interventi strategici proprio nel settore fognario-depurativo, individuando le risorse finanziarie in quota pubblica da destinare al finanziamento di alcuni interventi di realizzazione o adeguamento degli impianti di trattamento dei reflui. Ma i tempi di realizzazione, neanche a dirlo, appaiono piuttosto lunghi e nell’attesa risulta fondamentale l’attività di controllo, importante per la prevenzione di eventuali danni ambientali. La nota triste è che anche per la redazione dell’ultimo Rapporto sui depuratori siciliani Arpa Sicilia non sia stata in grado di effettuare tutti i controlli previsti per ogni singolo impianto a causa delle risorse umane ancora insufficienti e alle sempre più ridotte risorse economiche e finanziarie a disposizione delle attività di controllo ambientale. L’applicazione del principio comunitario del “chi inquina paga” tarda così ad essere attuato in Sicilia per la mancanza di due condizioni imprescindibili: i problemi strutturali dei sistemi di depurazione e una pianta organica carente all’interno degli organismi di controllo. Di conseguenza non vi è la possibilità di far valere il diritto di “risarcimento” della collettività per l’eventuale danno ad essa arrecato dai responsabili dei danni all’ambiente. Sicilia dunque bocciata in materia: il sistema di depurazione regionale nel suo complesso non è ancora in grado di assicurare un sufficiente livello di qualità delle acque in uscita. Proprietari e gestori sono invitati ad accelerare il ripasso delle regole, per provare a rimediare e recuperare gli anni perduti.
Il lavoro dell’Arpa, svolto sulla base delle risorse umane e strumentali disponibili, è stato caratterizzato dall’analisi delle concentrazioni di inquinanti che la normativa in materia stabilisce essere rappresentative della qualità degli scarichi, determinanti per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi ricettori e più in generale per la tutela della risorsa idrica, e alla verifica dei limiti di emissione per gli scarichi a mare e nei corpi idrici superficiali. La normativa in materia prevede che gli agglomerati con un numero pari o superiore a 2mila abitanti siamo provvisti di reti fognarie in cui far confluire gli scarichi delle acque reflue urbane, che devono essere sottoposti ad un trattamento appropriato in un impianto di depurazione per l’abbattimento degli inquinanti. In Sicilia ciò non sempre avviene: Arpa ha controllato il 72% circa degli impianti presenti sul territorio regionale, sia attivi che inattivi. Rilevato come ancora pochi impianti siano dotati dei campionatori automatici in continuo e dei misuratori di portata, secondo quanto previsto dall’assessorato regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica utilità, viene fuori come il sistema di depurazione delle acque reflue urbane sia ancora sottodimensionato e non adeguatamente gestito rispetto alle reali esigenze territoriali. Dal Rapporto emerge come il numero di impianti di depurazione funzionanti sia ancora lontano dal numero di quelli realizzati o previsti. Ma non basta: in molti casi i depuratori non sono adeguati alla normativa vigente e in aggiunta ai superamenti riscontrati rispetto ai parametri di riferimento, non può passare inosservata l’assenza dei presidi per il campionamento medio ponderato nelle 24 ore.
Ma i paradossi siciliani non finiscono di stupire: l’Arpa ha trovato impianti che risultano essere autorizzati nonostante siano ancora in costruzione, mentre altri hanno ricevuto il via libera alla messa in esercizio solo previa realizzazione degli interventi necessari all’adeguamento alla normativa. In altri casi ancora gli impianti non sono provvisti dell’autorizzazione allo scarico o non è stata inoltrata alcuna istanza di rinnovo della stessa, o ancor peggio, è stato espresso diniego allo scarico da parte della Regione.
Taormina esempio negativo. Numerose le zone ancora senza impianti
Nelle conclusioni del lavoro svolto dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente spicca il caso di Taormina: il depuratore consortile della Perla viene infatti classificato tra gli impianti sottodimensionati. E non è certamente un giudizio egregio, considerando che si tratta di un centro a forte vocazione turistica. Non mancano poi i casi opposti, come le strutture sovradimensionate rispetto all’effettiva portata in ingresso, che non consentono di avere un trattamento ottimale del refluo. Censiti inoltre impianti gestiti in maniera inefficiente a causa del fallimento delle relative società di gestione o dei rapporti conflittuali tra il gestore e gli enti proprietari.
Ma se ci sono comuni che hanno un impianto attivo, o almeno sulla carta, sono diversi i casi in cui l’impianto di trattamento dei reflui non è mai stato realizzato, a partire da agglomerati di una certa consistenza come Acireale, Castellammare del Golfo, Augusta, Misterbianco, Messina-Tono/Ganzirri, oltre che Acitrezza e Acicastello, situate in aree di riserva Marina.