Sabato 23 Novembre 2024
Il magistrato di Cassazione ha incontrato cittadini e studenti a S. Teresa di Riva


La lezione di Davigo: “Indignatevi e combattete la corruzione, è vostro dovere"

di Andrea Rifatto | 17/02/2016 | ATTUALITÀ

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Natale Caminiti, Piercamillo Davigo e Antonello D'Arrigo

“La lotta alla corruzione deve partire dai cittadini, altrimenti non se ne esce”. È l’esortazione lanciata ieri sera a S. Teresa di Riva dal magistrato Piercamillo Davigo, invitato dall’associazione “Amici di Onofrio Zappalà” per l’incontro pubblico “La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale”, dal titolo di un libro scritto nel 2007 dallo stesso magistrato insieme a Grazia Mannozzi. Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano dal 1981, dove si è occupato prevalentemente di reati finanziari, societari e contro la Pubblica Amministrazione, Davigo ha fatto parte nei primi anni Novanta del pool Mani Pulite, insieme ai colleghi Antonio Di Pietro, Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D'Ambrosio, Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Francesco Greco, Tiziana Parenti e Armando Spataro. Successivamente è divenuto Consigliere della Corte d'appello di Milano, mentre dal 2005 è Consigliere della II Sezione Penale della Corte di Cassazione. Un “eclettico” del processo penale, come si è definito dinanzi alla platea santateresina, che nella sua carriera ha avuto modo di conoscere a fondo il fenomeno della corruzione in Italia scardinando sistemi di potere a lungo indisturbati.

Ad aprire l’incontro, svoltosi nell'ex municipio, i saluti del segretario degli “Amici di Onofrio Zappalà”, Natale Caminiti, che ha ringraziato il magistrato per la sua presenza a S. Teresa e l’Amministrazione comunale, rappresentata dall’assessore Gianmarco Lombardo, per la disponibilità nell’organizzare l’incontro. Poi breve introduzione della figura di Piercamillo Davigo affidata ad Antonello D’Arrigo, presidente dell’associazione che porta il nome del giovane alessese morto nella strage di Bologna: “Ci siamo abituati a convivere con la corruzione e ciò è profondamente sbagliato” – ha sottolineato D’Arrigo prima di cedere la parola all’ospite della serata, che questa mattina ha incontrato gli studenti dell'Istituto superiore "Caminiti-Trimarchi".

Il magistrato di Cassazione ha iniziato il suo intervento definendo la corruzione come un reato “seriale e diffusivo”, caratterizzato dal moltiplicarsi nel tempo del numero dei soggetti coinvolti e delle relazioni di malaffare che si instaurano tra le parti, e di un fenomeno che dà vita ad enormi mercati illegali che producono effetti negativi sull’economia, sulla politica e sulla società. “La prima causa che non consente di individuare e riconoscere subito la corruzione è la mancanza di regolamentazione giuridica dei partiti – ha spiegato –: lo abbiamo visto con Mani Pulite, con il finanziamento pubblico alla politica, con le tessere comprate a fini elettorali e chissà se magari fra qualche anno, quando ci saranno i processi, capiremo come funzionano oggi le primarie del Partito democratico. Con le inchieste del 1992 ho stracciato il velo d’ipocrisia ma ricordate che non hanno smesso di rubare, hanno solo smesso di vergognarsi”. Da esempi concreti riferiti a casi di cronaca giudiziaria fino al confronto con la corruzione esistente in con altri Paesi, Piercamillo Davigo ha chiarito quanto riescono a incidere gli apparati investigativi e di polizia italiani, scoprendo e reprimendo i delitti di corruzione, rispetto all'improvviso emergere di una enorme massa di reati connessi al malaffare politico-amministrativo, e qual è stata la reazione degli organi giudiziari negli ultimi 25 anni. Il nodo della questione rimane uno: le pene infitte sono state più o meno severe? Che cosa rende difficoltosa l'emersione di questi delitti e come si auto-giustificano gli autori di pratiche corruttive o clientelari? E qual è, di fronte alla corruzione, la reazione del mondo politico?

“Trovare dei rimedi per debellare la corruzione è difficile – ha proseguito l’ex componente del pool Mani Pulite –: si tratta di un reato a ‘cifra nera’, ossia con un’enorme differenza tra il numero dei crimini commessi e quelli denunciati. E questo non aiuta, perché solo con le indagini spesso non si riesce ad arrivare fino in fondo. Il problema è che la classe dirigente di questo Paese, oltre che delinquere, si arrabbia se viene scoperta e gioca sulla disparità che purtroppo esiste tra le pene inflitte ai colletti bianchi e i criminali comuni. Senza contare una serie di reati costantemente commessi dalla classe dirigente e che in Italia non sono punibili”. Cosa fare dunque? Attendere che la corruzione continui a portare via fette di libero mercato e parte della democrazia? “No, non dovete cadere nell’errore di considerare tutti uguali, tutti ladri – ha evidenziato Davigo nell’incontro a S. Teresa –: è necessario che la popolazione si indigni, che si ribelli a questo degrado morale, e avete uno strumento fondamentale nelle vostre mani come quello del voto. Smettetela di votare i farabutti, scegliete gente onesta, fate cittadinanza attiva. Il problema di questo Paese è che non scattano i meccanismi di reazione sociale che consentono in parte di debellare un cancro che permea tutti i settori della vita pubblica e che rimane difficile da estirpare”. A differenza di altri Stati, infatti, come ad esempio gli Usa dove i funzionari pubblici e i politici vengono sottoposti ad un test di integrità e dove le operazioni sotto copertura per scovare corrotti e corruttori sono all’ordine del giorno, l’Italia continua a guardare in altre direzioni, molto spesso con effetti devastanti. “Enorme il danno causato dalla prescrizione dei reati – ha aggiunto il magistrato lombardo – oltre a diverse leggi in materia di giustizia introdotte nel’ultimo decennio”.

In chiusura Piercamillo Davigo ha risposto alle domande arrivate dal pubblico, aggiungendo che anche la mancanza di meritocrazia è una delle cause della corruzione. Poi un richiamo al dialogo tra Arjuna e Krishna, contenuto nel Mahabharata, un poema indù che racconta la guerra tra due famiglie, i Kaurava e i Pandava, per lanciare un messaggio ai presenti. Arjuna è un guerriero lacerato dalla guerra, non sa chi ha torto e chi ha ragione, non sa da che parte schierarsi, soprattutto non sa quali saranno le conseguenze delle cose che fa, perché potrebbe ottenere risultati opposti a quelli che si prefigge. E allora chiede a Krishna che cosa deve fare e Krishna, gli dice - “Arjuna tu che cosa sei?” - “Un guerriero”, risponde. - “E qual è il dovere di un guerriero?” - “Combattere”. - “Ecco allora tu combatti, non te ne deve importare niente se vinci o se perdi, meno che mai ti deve importare di quali saranno le conseguenze ultime delle tue azioni perché a te non compete governare il mondo, a te compete soltanto, come ogni altra creatura, di fare al meglio delle tue capacità quello che ti è toccato in sorte di fare: gli dei guideranno il mondo”. “Quindi fate le vostre scelte e combattete al meglio delle vostre capacità – ha esortato Davigo – e portate avanti i vostri ideali senza piegarvi alle regole dell'illegalità, solo perchè così fan tutti. Questo, per voi, significherà vincere”.


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