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La storia dimenticata: gli scavi di Scifì fermi da 14 anni
di Filippo Brianni | 24/01/2016 | ATTUALITÀ
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Gli scavi visti dall'alto (foto Francesco Savoca)
Sono già 14 anni che il sito archeologico di Scifì, frazione di Forza d’Agrò, non vede più una cazzuola. Risalgono infatti al 2002 gli ultimi interventi di scavo, quelli che consentirono di completare la datazione dei ruderi, intuire che si trattasse di un fabbricato certamente imponente e stabilire l’indispensabilità di un nuovo e corposo scavo. Ma da allora, il silenzio è assordante. Tranne che durante le campagne elettorali, dove il sito viene sventolato come una bandiera, puntualmente ammainata appena dopo la proclamazione degli eletti. In questi 14 anni (29 se si considera la data di rinvenimento dei reperti, 1987) per i beni culturali si sono visti passare fondi a bordo di tutte le sigle possibili, linee di intervento, misure più o meno variabili, provenienti da Palermo, Roma, Bruxelles, ma nessuno di questi che sia stato intercettato al “bivio” per Scifì. Nessuna istituzione in questi anni ha mai previsto un euro in bilancio per proseguire anche con brevi saggi i lavori troncati nel 2002, né è stato mai predisposto un progetto per recuperare finalmente il sito o anche solo valorizzarlo. Pure in paese, a parte l’impegno di singoli cittadini, la questione non sembra sentita più di tanto, malgrado appare ormai certo che, una volta fuori terra, il sito di Scifì riscriverà pagine importanti della storia della Valle d'Agrò, con tutte le conseguenze anche economiche. È come se nel garage di casa si scoprisse una cassa che forse contiene gioielli e non si ha nemmeno la curiosità di aprirla. Perché di un gioiello si tratta sicuro, visto i risultati dati dagli scavi finora svolti. Sono già emersi reperti che vanno dal I secolo a. C. al VI d.C., con costruzioni che si sovrappongono dall’epoca greca ai romani, cristallizzandosi nell’età tardo imperiale. Sono emerse le tracce di un alluvione, ma anche la presenza di elementi che fanno ritenere che il sito fosse già stato evacuato quando finì sotto terra. La struttura ha svolto funzione di “stazione di servizio” lungo la strada che collegava Taormina al Tirreno in epoca romana e secondo Peppino Lombardo – lo scopritore del sito, morto undici mesi dopo l’ultimo scavo – lì si trovava l’abbazia dei Santi Pietro e Paolo d’Agrò, poi ricostruita sul versante opposto. Una tesi che nel 2013 è stata giudicata “molto probabile” dall’ex dirigente regionale ai Beni culturali, Gesualdo Campo. Ma per confermarla servono nuovi scavi. Quelli che mancano.