Le storie di Melloni e Agostino a Santa Teresa: "Andiamo avanti per esigere la verità"
di Andrea Rifatto | 17/10/2023 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 17/10/2023 | ATTUALITÀ
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D'Arrigo, Agostino, Melloni e Caminiti
Racconti tragici e commoventi su due misteri italiani che a fatica hanno avuto verità non ancora complete. Il pubblico al Palazzo della Cultura di Santa Teresa di Riva ha tributato lunghi applausi alle storie raccontate da Agide Melloni e Vincenzo Agostino, ospiti dell’associazione “Amici di Onofrio Zappalà”. Melloni, autista dell’Atc di Bologna, nella strage di Bologna del 2 agosto 1980 rimase per 16 ore alla guida di un autobus della linea 37 utilizzato per trasportare i feriti negli ospedali e poi improvvisato come carro funebre per condurre i cadaveri nelle camere mortuarie: “Il mio è un piccolo contributo a chi persegue da 43 anni una battaglia, che sembra impossibile, per sapere fino in fondo la verità sulla strage - ha detto facendo rivivere i tragici fatti di quella mattina - non sono un eroe ma uno dei tanti cittadini semplici che si attivarono con compostezza e commozione, davanti a quei corpi non potevamo girarci dall’altra parte e dinanzi alla violenza inumana dovevamo restituire dignità a quell’oltraggio, con gesti di affetto e fratellanza”. Un avvenimento che sconvolse la vita dell’autista, all’epoca 31enne, “ma non ho voluto aiuti psicologici perché niente di quello che ho visto quel giorno deve essere cancellato - ha spiegato, potando anche il saluto dell’Associazione familiari vittime della strage di Bologna - io passo il testimone ai giovani e fin quando ci sarà un buco nella verità e nella giustizia dobbiamo esigere di sapere”. Il presidente Antonello D’Arrigo e il vicepresidente Natale Caminiti gli hanno consegnato il “Premio Zappalà”, che ha voluto lasciare all’associazione “come atto di testimonianza e riconoscenza verso i soccorritori”. Vincenzo Agostino, padre del poliziotto Nino ucciso nel 1989 a Villagrazia di Carini, insieme alla moglie Ida Castelluccio e al figlio che portava in grembo, ha ripercorso la missione che con la moglie, scomparsa nel 2019, porta avanti “girando da 34 anni in una Sicilia arida e mafiosa e grazie a noi familiari che abbiamo scavato è stato tolto il fango gettato addosso a mio figlio ed al giorno del delitto non taglio barba e capelli in attesa di verità e giustizia, per trovare i pupari, soprattutto per le future generazioni altrimenti in questa terra non si vedrà mai la luce”. Un uomo allo stremo delle forze ma combattivo. La conferma dell’ergastolo al boss Nino Madonia è un soddisfazione a metà, “perchè abbiamo perso visto che mio figlio non c’è più e mia moglie è in attesa di verità e giustizia anche dopo la morte, come ho scritto sulla sua lapide. Scritta che spero di poter togliere presto”. Per il presidente D’Arrigo “una giornata proficua grazie alle testimonianze portate soprattutto nelle scuole - ha detto - il futuro della nostra associazione va affidato ai familiari di Onofrio affinché portino avanti il nostro operato e continuino a raccontare storie di resistenza”. A porgere un saluto sono intervenuti il sindaco Danilo Lo Giudice e Maria Zappalà, sorella di Onofrio.