Letojanni, Comune condannato anche in Cassazione per la piscina mai completata
di Andrea Rifatto | 07/06/2024 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 07/06/2024 | ATTUALITÀ
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L’opera all’estremità nord del paese incompleta da quasi 30 anni
Quell’impianto non poteva sorgere lì o quantomeno doveva essere chiesta una deroga alla legge urbanistica. Diventa definitiva la condanna a carico del Comune di Letojanni per i lavori di realizzazione della piscina e delle attrezzature connesse in contrada Silemi. La Corte di Cassazione ha infatti rigettato il ricorso presentato contro l’impresa “Pappalardo Antonino” per provare a ribaltare la sentenza del 2018 della Corte d’appello di Messina e ha condannato l’ente, difeso dall’avvocato Giuseppe Marino, al pagamento di 8mila 200 euro di spese di lite, confermando il verdetto di secondo grado e chiudendo la vicenda ai danni dell’Amministrazione con un esborso di oltre 100mila euro, in buona parte già versati. Una vicenda che inizia il 28 ottobre 1997, quando il Comune sigla con la ditta i lavori di costruzione della piscina, consegnati il 21 novembre e sospesi varie volte fino al 3 marzo 2000, quando in cantiere si presenta il Corpo Forestale di Furci Siculo eseguendo un sequestro penale dell’area per la mancanza delle autorizzazioni prescritte dalla Legge 431/1985 (Tutela delle zone di particolare interesse ambientale). Il 28 settembre 2006 l’impresa Pappalardo, difesa in terzo grado dall'avvocato Giuseppe Aliquò, cita in giudizio il Comune di Letojanni al Tribunale di Messina chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per causa imputabile all’amministrazione e la condanna al risarcimento dei danni, evidenziando come la responsabilità della sospensione dei lavori sia attribuibile al Comune che avrebbe dovuto chiedere e ottenere l’autorizzazione prevista dall’articolo 57 della Legge regionale 71/1978 per la costruzione a distanza inferiore a quella prescritta dall’articolo 15 della Legge regionale 78/1976 (150 metri dalla battigia, derogabile per opere pubbliche o dichiarate di preminente interesse pubblico), prima di dare in appalto i lavori. Richiesta accolta, tanto che con sentenza del 30 ottobre 2013 il Tribunale dichiara la risoluzione del contratto per colpa dell’Amministrazione, condannandola al pagamento di 15mila 958 euro oltre Iva e interessi legali e moratori per lavori eseguiti e non contabilizzati e altri 95mila 729 euro a titolo di risarcimento dei danni. Il municipio presenta appello e con sentenza del 21 agosto 2018 la Corte d’appello di Messina conferma il verdetto di primo grado in punto di risoluzione del contratto per colpa dell’amministrazione, mentre ridetermina l’importo a titolo di risarcimento in 80mila 821 euro oltre interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno dalla domanda giudiziale al soddisfo. Nel 2018, poi, il Comune tenta l’ultima carta ricorrendo in Cassazione con l’avvocato Marino (nei primi due gradi era assistito dall’avvocato Giacomo Rossini), ma con ordinanza dei giorni scorsi i giudici della Prima Sezione civile della Cassazione hanno sposato le tesi della Corte d’appello evidenziando che “la regolarizzazione-autorizzazione in deroga avrebbe dovuto effettuarsi prima di stipulare il contratto nel 1997” e che la Legge regionale 15/1991 che ha esteso anche ai Prg e ai regolamenti comunali la Legge regionale 78/1976 ha validità retroattiva, mentre secondo la difesa del Comune “le prescrizioni previste dall’articolo 15 della Legge regionale 78/1976 dovevano essere osservate esclusivamente in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali e non anche in sede di rilascio delle concessioni edilizie e la destinazione urbanistica dell’area su cui doveva essere realizzata la piscina era stata approvata prima dell’entrata in vigore della norma e l’ente non poteva e non doveva richiedere alcun nulla osta”.