Articoli correlati
Letojanni, il Tar conferma la maxi demolizione del camping Paradise: "Gravi abusi edilizi"
di Andrea Rifatto | 09/04/2021 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 09/04/2021 | ATTUALITÀ
6120 Lettori unici
Il camping Paradide di contrada Milianò
Il maxi ordine di demolizione emanato dal Comune nei confronti del “Paradise International Camping” di Letojanni e il successivo provvedimento di revoca dell'autorizzazione ad esercitare l'attività turistica sono legittimi e restano in vigore. È quanto ha stabilito il Tar di Catania con una articolata sentenza che ha dato ragione all’Ente, sancendo la sconfitta in primo grado dei proprietari e dei gestori della struttura di contrada Milianò, l'ingegnere Pietro Leo e la società “Rapida Sas” (di cui è titolare la moglie), che avevano presentato due ricorsi contro il Comune per l'annullamento dell’ordine di demolizione del novembre 2019 e della revoca dell'autorizzazione al camping, siglata nel giugno 2020 a causa dei gravi abusi urbanistici riscontrati. I ricorsi sono stati riuniti e rigettati dal Collegio della Terza sezione, che ha condannato Leo e la società di famiglia, rappresentati dall’avvocato Fabio Saitta, al pagamento delle spese di giudizio per 1.900 euro oltre accessori di legge per ciascuno dei due ricorsi. Lo scontro tra il Camping Paradise e il Comune di Letojanni, difeso al Tar dall'avvocato Fabio Di Cara, è nato dopo un controllo all'interno del campeggio, la cui costruzione è iniziata nel 1967 con ampliamenti e modifiche fino ai nostri giorni, in seguito al quale l'Ufficio tecnico ha rilevato una miriade di abusi edilizi, difformità rispetto a quanto autorizzato e strutture rappresentate nei progetti in modo distorto rispetto all’esistente, contestando ben 17 irregolarità in una ordinanza di demolizione di 14 pagine (da cui emerge come non sarebbe autorizzato neanche l’accesso pedonale) che impone l’abbattimento delle opere abusive e l’immediata sospensione dei lavori relativi al permesso di costruire del luglio 2018 per la costruzione di 15 bungalow, che sarebbe avvenuto in difformità a quanto autorizzato. Secondo la proprietà del “Paradise”, invece, le opere non sono abusive e pochi giorni prima dell'ordine di demolizione (ottobre 2019) è stata presentata istanza di sanatoria. Il Tar ha stabilito la legittimità dell'ordine di demolizione specificando che “è valido ma la sua efficacia rimane paralizzata sino alla definizione del procedimento di sanatoria”, in quanto “rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione, la quale può ben ritenere, in ragione della eclatante insanabilità delle opere, che sia opportuno o preferibile provvedere immediatamente all’adozione dell’ingiunzione a demolire, sebbene essa sia destinata a restare inefficace sino alla conclusione - che comunque si immagina estremamente sollecita - del procedimento relativo alla sanatoria”. Sanatoria che però è stata respinta dal municipio perchè “redatta in modo sostanzialmente indecifrabile, con riferimento ad opere manifestamente insanabili e ad attività ritenuta libera (e, quindi, non soggetta al rilascio di alcun titolo edilizio)” e formulata “in modo da risultare non sufficientemente intellegibile”, mentre il Comune “chiamato ad accertare il cosiddetto requisito della doppia conformità, va posto in condizione di comprendere esattamente a quali opere si intenda fare riferimento, nonché a conoscere la loro epoca di realizzazione, onde poter verificare la rispondenza alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento dell’edificazione e al momento in cui la domanda è stata proposta”. In ogni caso il rigetto della domanda “per come formulata non preclude una sua ragionata riproposizione e la richiesta di sanare gli abusi non poteva impedire l’emanazione dell'ordine di demolizione”. I giudici, su questo punto, hanno specificato come “qualora si voglia ritenere che l’istanza per l’accertamento di conformità precluda l’emanazione di un valido e legittimo - seppure inefficace - ordine di demolizione, ciò deve, tuttavia, ragionevolmente escludersi qualora la richiesta, come nel caso di specie, risulti manifestamente inammissibile, in quanto formulata in modo tale da impedire all’Amministrazione di avviare utilmente il percorso istruttorio, non potendosi giustificare iniziative che, in violazione del principio di leale cooperazione, producano il solo effetto sostanziale di rallentare l’azione amministrativa”. Giudicate, inoltre, superflua la comunicazione di avvio del procedimento e inutile una specifica motivazione per il provvedimento di abbattimento, “risultando sufficiente l'individuazione degli abusi commessi”. “Il potere repressivo del Comune non si consuma con il trascorrere di un lungo lasso di tempo dalla commissione dell’illecito - si legge ancora in sentenza - non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile del privato alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare”. Probabile, adesso, il ricorso in appello dell'inegnere Pietro Leo al Cga di Palermo. Regolare anche la revoca dell'autorizzazione ad eseguire l'attività in quanto “non è possibile assentire lo svolgimento di un’attività di natura commerciale in una struttura diffusamente, prevalentemente e gravemente irregolare dal punto di vista urbanistico ed edilizio - scrive il Tar - e al riguardo deve condividersi il rilievo della ricorrente secondo cui risulta sproporzionata la chiusura di una struttura che solo in minima o modesta parte appaia irregolare, ma nel caso in esame le irregolarità sono numerose, consistenti e interessano il Camping pressoché nella sua interezza, incluso il suo accesso (sicché non si comprende come possa esercitarsi l’attività in un luogo ove non è possibile accedere regolarmente)”. Per i giudici "le autorizzazioni possono essere modificate o revocate qualora esse risultino in contrasto con le norme di legge e l’autorizzazione all’esercizio di un’attività è strettamente connessa alla pianificazione urbanistica e, in quanto tale, è sottoposta ad un vincolo di conformità rispetto a alle relative prescrizioni". Inoltre è stato ricordato come il 4 giugno 2020, prima dell’adozione del provvedimento, sia stato effettuato un sopralluogo riscontrando che l’ordine di demolizione non era stato eseguito: dunque “sarebbe stato onere ed obbligo del proprietario dell’immobile rappresentare alla società titolare dell'autorizzazione le irregolarità riscontrate, “dovendo anche aggiungersi che titolare della ‘Rapida Sas’ è la moglie del ricorrente nel giudizio contro l'ordinanza di demolizione e che tutti gli abusi sono stati realizzati durante lo svolgimento dell’attività da parte della società”.