Sabato 21 Dicembre 2024
Scoperta una targa per Nino Saglimbeni e convegno per analizzare il fenomeno


Limina, il ricordo del sindacalista d'oltreoceano e storie di emigrazione e pandemie

di Redazione | 21/08/2021 | ATTUALITÀ

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I relatori del convegno nell'aula consiliare

Una targa al Polifunzionale Scaldara in ricordo dell’emigrante sindacalista Anthony Saglimbeni e poi “Epidemie ed emigrazione”, il titolo dell’edizione 2021 della Giornata dell’Emigrante, organizzata dal Comune di Limina, in collaborazione con la Pro Loco e con il patrocinio di Regione, Università di Messina e Archeoclub. Un evento si è tenuto nell’aula consiliare “Paolo Saglimbeni” ed ha consentito di mettere a fuoco un aspetto dell’emigrazione spesso sottovalutato: l’impatto delle malattie e delle dei fenomeni migratori con riferimento a pandemie e malattie. Ma l’apertura è stata dedicata a  Nino Saglimbeni, nato a fine ‘800 a Limina e partito per gli Stati Uniti, dove ha iniziato a lavorare come scavatore e spaccapietre per la metropolitana e successivamente come water boy, il ragazzo incaricato di portare l’acqua agli operai. Fu proprio durante questa attività che iniziò a legare con i colleghi, a ricevere e perorare istanze, soprattutto con il gruppo di emigranti liminesi. Pian piano formò un piccolo sindacato che divenne poi grande, l’Excatovators Union 731, attraverso il quale garantì agli operai assistenza medica e legale e una pensione supplementare oltre a quella prevista della legge. “Si devono a lui anche accorgimenti più pratici ma importanti - ha detto Pietro Saglimbeni -  come  quelli che gli emigranti chiamavano “sciapitusi”, storpiando Shop houses, cioè dei punti in cui gli operai potevano lasciare gli attrezzi di lavoro, senza esser costretti a portarli da casa ogni mattina”. Oggi nel palazzo del Queens dove ha sede il sindacato capeggia proprio la foto di Anthony. Il Comune di Limina ha voluto omaggiarlo con una targa ricordo al Centro Polifunzionale Scaldara, donata dai parenti, alla presenza di due pronipoti, Sebastiano e Pietro Saglimbeni. 

L’antropologo Francesco Carini si è occupato di “migrazione del virus… della miseria” nel cinema, mentre il sociologo Tindaro Bellinvia ha illustrato “la chiara somiglianza delle migrazioni di ieri con quelle di oggi e la stessa reazione, spesso irrazionale e strumentalizzata, delle comunità riceventi. Anche ad Ellis Island – ha aggiunto – i nostri avi venivano trattenuti per settimane o mesi, vi ricorda qualcosa?”. Ha anche evidenziato il trattamento umiliante, soprattutto riservato ai malati psichiatrici, molti dei quali spariti, perché “il problema del corpo malato era sempre legato alla funzionalità economica di quel corpo. Allora come oggi si strumentalizza la malattia quando si vuole demonizzare le migrazioni”.  Un intervento che ha fatto da assist per quello del prof. Giuseppe Restifo, che ha illustrato alcuni relazioni e dati eloquenti: “In paesi come Limina il salario dal 1860 al 1885 non era mutato; i contadini venivano definiti ‘deboli’, alimentati per lo più con verdura. Partivano da qui per imbarcarsi da Napoli o Genova e su di loro si scatenava subito lo sciacallaggio di agenti, finti assicuratori, locandieri, faccendieri di ogni tipo. “Poi salivano su queste navi di Lazzaro, definite così perché erano un lazzaretto, veri e propri ospedali galleggianti, stavano nelle stive, in condizioni indicibili, con indici di mortalità infantile terribili: immaginate come questi ‘corpi’ potevano arrivare a destinazione…”. Restifo, citando (e cantando…) Mario Incudine, ha anche trattato la “morbosità” dell’emigrazione in senso figurato, questa voglia spasmodica di raggiungere un mondo che prometteva comodità e ricchezza.  I lavori, moderati da Filippo Brianni di Archeoclub Area Ionica, sono stati conclusi dal sindaco, Filippo Ricciardi, sottolineando l’impegno costante della comunità e del Comune di Limina di occuparsi di questo fenomeno, che caratterizza Limina ormai da un secolo e mezzo, con migliaia di liminesi sparsi in più di venti nazioni, oltre a tutti gli emigranti in tutte le zone del centro e nord Italia. E tutti tengono ben saldo il cordone ombelicale con il paese natio, soprattutto nelle nutrite comunità in Venezuela ed Usa.


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