Sabato 23 Novembre 2024
La comunità ha celebrato l’ottava del santo: una fede viscerale condizionata dal Covid


Limina riabbraccia il suo San Filippo: dai piccoli pizzaturi a quella lotta degli Anni '20

di Filippo Brianni | 24/05/2021 | ATTUALITÀ

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I piccoli "pizzaturi" durante il giro del paese

Immobile. Imperioso dentro la vara preparata e infiorata con la stessa cura come se anche quest’anno dovesse fare “giretti” e “corse”, ma immobile. Severo e protettivo in quell’incredibile volto scolpito da chissà quale mano, pronto ad ascoltare preghiere e sfoghi dei suoi paesani che gli si accovacciano durante l’anno, ma immobile. Un ventoso sole, sabato mattina, ne proiettava l’immagine sul portale della sua chiesa, nella sua piazza, in occasione dell’Ottava. La sua gente lo guardava. Immobile, come Lui. Non si corre. C’è ancora il Covid tra Limina e il suo santo protettore San Filippo, tra le esigenze dei distanziamenti e la voglia di dare voce e senso a quel sentimento religioso e popolare che ogni maggio si manifesta attraverso rituali imprescindibili per questa comunità. Quest’anno, almeno, a differenza del 2020, le celebrazioni religiose si sono potute eseguire e la gente non ha mancato di ripercorrere le tappe salienti della loro festa, pur senza il Santo in mezzo alla processione ed in versione “Covid compatibile”. L’11 maggio, la bomba mattutina ha annunciato l’inizio della festa, che in tempi normali coincide con la processione fino al Santuario di Passo Murazzo (“grande Moro”) – dove quest’anno si è tenuta la messa - nei luoghi a ridosso del torrente Agrò che si crede furono frequentati dal sacerdote orientale Filippo, probabilmente intorno al V secolo, anche se sulla datazione della presenza terrena di Filippo vi sono incertezze. Si sa che Filippo, esorcista e taumaturgo, proseguì la sua missione verso Taormina, Calatabiano, le terre etnee, fino ad Agira, dove si stabilì fino alla morte, avvenuta il 12 maggio. Ed ogni anno, il 12 maggio a Limina è ricordato con la solenne processione per le vie del paese, quest’anno “sostituita” dalla sola Santa Messa. 

Poi c’è l’Ottava, che per tanti decenni a Limina è stata croce di chiesa e delizia di popolo finché la riscoperta dei suoi significati e la funzionalizzazione evangelica dei riti ha rimesso in pace le esigenze liturgiche con le espressioni popolari. Ma l’Ottava 2021 si è limitata alla messa sul sagrato e alla benedizione delle 17, anche se molti fedeli, soprattutto i ragazzini, hanno scelto comunque di farlo il percorso che avrebbe fatto San Filippo, se fosse stata “vera festa”. Proprio alle 17 in punto – in corrispondenza di quella che viene considerata l’ora di inizio delle tenebre -  San Filippo avrebbe risposto alla chiamata del suo popolo (rappresentato dai “pizzaturi”, che premono sul portale della chiesa sbarrato), uscendo a spalla ed iniziando una vera e propria corsa, sempre rigorosamente a spalla, a simboleggiare San Filippo che insegue i demoni. Avrebbe raggiunto i punti terminali del paese, a Calvario prima e Durbi dopo, per eseguire i tre giri intorno alla croce necessari, secondo un rituale cristiano arcaico, a “ricacciare” il demonio fuori dalla sfera terrena. Tornato in paese, avrebbe fatto i “giretti”, dei vorticosi giri in piazza, che rappresentano la vittoria di Cristo sul male. Al sacro, si aggiunge il popolare, cioè che questi “giri” avvengono sulle note de “La Bersagliera”, non esattamente il brano più clericale che ci sia... Ancora più popolare e decisamente più profana era la pratica della “ddutta” (la lotta), che avveniva fino a metà del secolo scorso tra pastori e artigiani, i quali prendevano posto ai due lati della vara e spingevano in una sorta di tiro alla fune all’inverso il cui scopo era “incastrare” gli avversari tra la vara ed un muro. In un’occasione ci scappò il morto e la “ddutta” subì un necessario ed opportuno “armistizio”. Anche perché quella non era stata l’unica volta finita male. 

In un’altra occasione, intorno agli Anni ’20, la Ddutta degenerò ed i contendenti si presero a colpi di pietra e tegole, tanto da danneggiare persino il santo. Di quell’evento si sa che cadde proprio il 22 maggio, esattamente come quest’anno, e lo si sa per via di una “canzuna”, ancora popolare a Limina, attribuita al poeta locale Nicola Giuseppe Saglimbeni detto Bizzeffi e cantata dai “cantaturi” nelle calde notti estive tra le stradine del paese, che riproponiamo qui per i più curiosi: “Di vintidui vinni l’Uttava avannu/ cu campa si ricorda mentri è munnu/ li petri e li canali navicannu/nta dda vanedda chi ribbùgghiu! Li soru di li mastri lacrimiannu/ li picurara giriaunu ‘ntunnu/ e San Fulippu patiu lu dannu/ fu pigghiatu cu petri nta la pugnu”. Una fede viscerale, che innerva l’intera comunità. Le immaginette del santo “moro” si trovano negli astucci dei bambini, tra pagine spiegazzate dei libri dei giovani, in fondo alle tasche di borsoni di calcio e borse da lavoro, in mezzo alle ricette nei portafogli consunti degli anziani. Così come, per tanti decenni, si intrufolavano tra le valigie di chi partiva, troneggiando poi nelle nuove case “migranti”, a sancire un cordone ombelicale col paese natio ed il suo “santo protettore”. Una sorta di vaccino, una mascherina, certamente inutile contro il Covid, ma senz’altro efficace contro quei virus che sempre più spesso attaccano identità popolare, fede e tradizione.


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