Mummie di Savoca, arrivano gli esiti degli studi
di Redazione | 02/04/2015 | ATTUALITÀ
di Redazione | 02/04/2015 | ATTUALITÀ
4466 Lettori unici | Commenti 2
Le mummie conservate nella cripta della chiesa dei Cappuccini
Sono stati resi noti i risultati dello studio condotto sulle mummie di Savoca dall’antropologo Dario Piombino-Mascali, in collaborazione con National Geographic e la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina. Gli esiti delle ricerche, iniziate nel 2008 su input dell’etnologo Sergio Todesco, sono stati pubblicati su una autorevole rivista internazionale di anatomia e rivelano con straordinaria precisione sia i riti di preparazione post-mortem che venivano adottati al tempo ma anche l’estrazione sociale dei defunti, le patologie di cui soffrivano e dunque lo stile di vita. Custodite nella cripta della chiesa del Convento dei Cappuccini, le 17 mummie vestite, vissute tra il XVIII e il XIX secolo, sono i resti di uomini di età matura, fatta eccezione per due soggetti giovani. Di molti non è stato però possibile risalire all’identità. Secondo Piombino-Mascali, beneficiario di un fondo di ricerca dell'Expeditions Council di National Geographic, le mummie sono di persone di rango elevato, non soltanto religiosi, ma anche aristocratici e dignitari, le cui famiglie potevano affrontare le spese relative al trattamento e alla conservazione dei corpi in un luogo ambito. La mummificazione era dunque un segno di appartenenza a una classe agiata della popolazione. Lo studio ha evidenziato che nella cripta, dove si trovavano due stanze di preparazione, o colatoi, con 6 e 10 sedili cavi per il drenaggio dei liquami, necessario per una perfetta conservazione, avveniva il primo passo per la mummificazione, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di mummificazione naturale. Dopo il drenaggio, i corpi venivano trattati con sale e aceto, a volte riempiti di frammenti di tessuti, foglie di alloro e altri vegetali per mantenere la forma del corpo. Gli esami paleoradiologici hanno permesso di appurare che al momento del decesso i soggetti avessero un’età matura: da ciò si deduce come le aspettative di vita, nel luogo e nel periodo esaminati, fossero, per le classi più agiate, piuttosto alte. Così come alto era il tenore di vita: le patologie rilevate nel corso dello studio sono infatti gotta e DISH, malattie dovute a una dieta molto ricca. La prima è detta anche “malattia dei re” perché causata da dieta ipercalorica, ricca di proteine animali e alcol, che anche prelati e dignitari di Savoca dovevano consumare in quantità, insieme agli zuccheri, il che spiega le infezioni dentali e la perdita dei denti. Anche la DISH è una patologia che si ricollega allo status e al tenore di vita elevato, perché determina la crescita a dismisura di ossificazioni della colonna e propaggini extraspinali, a causa di un’alimentazione particolarmente ricca. I nobili savocesi imbalsamati nella cripta soffrivano inoltre di artropatie: la presenza di segni di osteoartrosi (degenerazione della cartilagine nelle giunture) conferma l’età avanzata dei corpi. L’alluce valgo riscontrato su altre mummie indica invece una moda del tempo: l’uso prolungato di scarpe a punta.
Le mummie di Savoca, danneggiate da un atto di vandalismo nel 1985, quando vennero imbrattate con della vernice verde, sono state successivamente restaurate e sono oggi meta di visitatori italiani e stranieri. Dopo il restauro una decina sono state ricollocate in casse di compensato con la parte a vista chiusa da una lastra di plexiglas ed esposte l’una sopra l’altra a gruppi di tre. Altre sono riposte nelle originarie casse funebri in legno, alcune con finestre di vetro da cui si osservano i corpi. Tutte le fasi dello studio sono state seguite fino al 2014 dall’ex vicesindaco e assessore alla Cultura Cettina Pizzolo, soddisfatta per l’esito delle ricerche: “Possiamo finalmente dire di avere riconquistato un pezzo della nostra identità e vorremmo condividerlo”.