"Musiù", storie di emigranti tornati a vivere a Limina dopo mezzo secolo - VIDEO
di Filippo Brianni | 09/10/2021 | ATTUALITÀ
di Filippo Brianni | 09/10/2021 | ATTUALITÀ
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La presentazione di "Musiù" al Polifunzionale di Limina
Dopo un film sui migranti che vanno, arriva un documentario su quelli che tornano. Limina ci ha proprio preso gusto a vedere giovani figli e nipoti dei propri emigrati che la studiano e in qualche modo la rivalorizzano pure. Nemmeno il tempo di smaltire l’emozione per la presentazione, ad agosto, di un film di Michael Cavalieri sulla storia di migrazione americana del nonno liminese che al Centro Polifunzionale Scaldara è arrivato il bis: “Musiù”, un documentario di mezz’ora sulla storia dei migranti tornati dal Venezuela. Porta la firma di Silvia Beck, nome e cognome che meno liminesi non si può, 25 anni, lecchese, tirata su a neve e lago ed un giorno finita quasi per caso nel bel mezzo della festa di San Filippo a Limina, paese dei parenti materni, trovandosi subito a suo agio. “Mi ha colpito il fatto che durante la festa sentivo parlare varie lingue straniere in un paese così piccolo, soprattutto spagnolo - racconta - mi documentai su questo particolare legame di Limina con il Venezuela e decisi di farne un documentario”. In quel periodo stava pensando alla tesi per laurearsi in Fotografia alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia e malgrado lo scetticismo dei docenti decise che avrebbe presentato proprio il documentario su questa strana storia. Si piombò sulla Valle d’Agrò armata di telecamera e curiosità e con l’aiuto di parenti ed amici immortalò scorci ed angoli di vita quotidiana, ma soprattutto stanò diversi emigrati in Venezuela che erano nel frattempo tornati a stabilirsi a Limina. Alcuni, come il sindaco Filippo Ricciardi, erano rientrati già da piccoli, altri invece lo avevano fatto di recente, per sfuggire alla crisi economica di quel Paese, allo stesso modo di com’erano sfuggiti, oltre mezzo secolo fa, da quella del sud Italia. Ha preso corpo così - anche grazie al supporto tecnico di Anisia Tomasoni e Michele Cressi - “Musiù”, titolo mutuato dal toccante racconto di un’emigrante intervistata e ancora meglio chiarito da Pietro Saglimbeni, anche lui “pluriemigrante” prima di “tornare” ed aprire un’attività a Sant’Alessio con il fratello: “probabilmente è una translitterazione castigliana del francese “monsieur” che però in Venezuela si utilizzava per etichettare gli europei. Non sempre era un termine dispregiativo, ma certamente marcava una differenza”. Il documentario si alimenta di immagini, sguardi e parole di otto testimonianze, tutte diverse per età, sesso, condizioni, ma tutte in grado tracciare le varie fasi di questo viscerale rapporto: la paura della partenza nel Dopoguerra, insieme alla speranza in un futuro che comunque non poteva essere peggiore; l’impegno (“si lavorava notte e giorno e ci guardavano male, anche perché loro erano pure abbastanza pigri”) e i contrastanti sentimenti durante il “boom”, dalla soddisfazione (“Il Venezuela ti consentiva subito di avere la tua attività e realizzarti”) alla nostalgia (“si piangeva pensando al proprio paese, anche se lì era meglio; abbiamo fatto pure San Filippo uguale a quello di Limina”) dei tanti liminesi che ha grappoli si erano trasferiti e ricompattati in Sud America; e, di recente l’ultima fase, con il ritorno di tanti per via di una crisi che ha polverizzato ricchezza e risparmi di intere generazioni (“nessuno di noi pensava di tornare al paese, se non in estate o per la festa”) e soprattutto, per i più anziani, ha reso quasi impossibile curarsi lì. Perciò molti liminesi si sono trovati ad essere emigranti due volte. E Limina, suo malgrado, è diventato un laboratorio piccolo ma particolarmente indicativo di un fenomeno che spesso sfugge ai radar dell’informazione. Un fenomeno che il lavoro di Silvia Beck svela con semplicità e forza, scovandolo tra “vaneddi” e “chiani” e trasformandolo in uno scrigno di emozioni oltre che in uno strumento di riflessione e studio.