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Oro di Casalvecchio, petizione per indagare ancora. E in paese è già processo sul furto
di Andrea Rifatto | 05/07/2019 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 05/07/2019 | ATTUALITÀ
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I locali del museo da dove sparì l'oro
Ventinove mesi dopo la rabbia è ancora tanta e il desiderio che si faccia luce su un furto che è stato per la comunità un sacrilegio difficile da dimenticare è ancora più forte. Non passa giorno da quell’1 febbraio 2017 che Casalvecchio Siculo non si interroghi su chi abbia strappato via dal paese l’oro di Sant’Onofrio e della Madonna Annunziata, 800 pezzi per un valore di mezzo milione di euro custoditi nel museo parrocchiale come fossero oggetti di bigiotteria. E dopo la lettera aperta che il sindaco Marco Saetti, che sin da subito preso a cuore questa triste vicenda, ha inviato al procuratore capo di Messina affinché non si chiudano le indagini, invitando anche chi tra i cittadini sappia qualcosa a parlare, sono adesso gli stessi casalvetini a mobilitarsi, con una petizione-denuncia da inviare al procuratore affinché si vada avanti e si arrivi alla verità. La raccolta firme è iniziata da qualche giorno in paese. “Siamo dei casalvetini che Le scrivono per rappesentarLe la totale condivisione della lettera aperta a firma del nostro sindaco e a rinnovare ulteriormente la richiesta di non chiudere le indagini e continuare le ricerche – si legge nella petizione - siamo consci che non è facile ma non si può abbandonare. Ci sono, oltre a quelli già segnalati, altri elementi che non possono essere presi in considerazione: chi aveva copia delle numerose chiavi di accesso al Museo?” Nel testo viene citato un nostro articolo del 3 febbraio 2017 (LEGGI QUI), dal titolo “Oro di Sant’Onofrio: ‘La comunità non doveva sapere’. In pochi conoscevano il nascondiglio”, in cui intervistammo i tre parroci che si succedettero a Casalvecchio tra il 2010 e il 2017: parole, quelle pronunciate nelle interviste, che i cittadini definiscono oggi sconcertanti. “Un segreto di… Pulcinella. Chi ha acceso la luce per permettere di rubare con assoluta facilità e precisione una parte importante di noi stessi?” si conclude la petizione. In paese è giù scattato il processo, nelle piazze reali e in quelle virtuali dei social network. Sotto accusa la decisione assunta dopo la festa di Sant’Onofrio del settembre 2010 di non riportare più l’oro nella cassetta di sicurezza in banca ma di custodirlo nel museo, protetto da sistemi di sicurezza che se inizialmente potevano sembrare efficaci con il passare degli anni non sono stati più mantenuti in efficienza, fin quando né l’allarme né le telecamere erano più funzionanti. Una scelta che al di là delle motivazioni è stata profondamente sbagliata, perché un tesoro di quella portata non può essere custodito in nascondigli “casalinghi”, nemmeno per pochissimo tempo. “Chiunque abbia gestito è responsabile, sta di fatto che quando l’oro è stato portato via non si trovava in un posto sicuro, questo è un fatto certo” uno dei tanti commenti. “Il dolore non deve diventare spettacolo – disse l’arcivescovo Giovanni Accolla il 16 febbraio 2017 durante la sua visita a Casalvecchio – non si cerchi il colpevole a tutti i costi e non trasformate la piazza in un tribunale dove celebrare processi”. Ma è inevitabile e comprensibile che i cittadini si pongano domande e cerchino risposte. Se il furto è stato inscenato e il luogo della custodia lo conoscevano in pochi, così come sembra ormai ben chiaro, il cerchio certamente si restringe. Gli inquirenti hanno fatto e faranno il loro dovere ma una cosa è certa: a Casalvecchio c’è chi sa come sono andati i fatti e continua a tacere, portandosi dentro un enorme segreto in spregio al santo patrono e alla devozione dei casalvetini.