"Premio Zappalà", il monito del procuratore capo D'Amato: "L'Europa contrasti le mafie"
di Andrea Rifatto | 06/08/2024 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 06/08/2024 | ATTUALITÀ
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Caminiti, Restifo, D'Amato e D'Arrigo
Memoria, ricordo e appelli per la ricerca della piena verità e per una più incisiva lotta alle mafie e al terrorismo. Su queste linee conduttrici si è dipanata a Santa Teresa di Riva la 19esima edizione del “Premio Zappalà-Incontro alla vita”, promossa dall’associazione “Amici di Onofrio Zappalà” in ricordo del 27enne di Sant’Alessio Siculo morto nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ospiti nel giardino Unità d’Italia di Villa Crisafulli Ragno il procuratore capo della Repubblica di Messina Antonio D’Amato, lo storico e vicepresidente Anpi Messina Giuseppe Restifo e in collegamento telefonico Giovanni Ricci, figlio di Domenico, appuntato dei Carabinieri della scorta di Aldo Moro ucciso nel 1978. Tra le autorità presenti la vicaria della prefetta Patrizia Adorno (“lo Stato è presente, in manifestazioni come questa è doveroso esserci e non dobbiamo mai dimenticare gli eventi che hanno segnato la nostra storia”), il questore Annino Gargano, il vicecomandante provinciale della Guardia di Finanza Girolamo Franchetti, il vicecomandante provinciale dei Carabinieri Francesco Falcone, il vicecomandante della Compagnia Carabinieri Taormina Alfio Polisano e il sindaco Danilo Lo Giudice (“abbiamo il dovere di tenere viva la memoria e porci interrogativi per far venire fuori sempre la verità”). A D’Amato è stato consegnato il Premio Zappalà 2024 “per un passato che lo ha visto pm anticamorra e per le tante indagini eccellenti indagini su criminalità d’impresa, colletti bianchi, clan dei casalesi e settore sanitario - si legge nella motivazione - oggi baluardo di legalità a Messina”. Il presidente e il vicepresidente degli “Amici di Onofrio Zappalà”, Antonello D’Arrigo e Natale Caminiti, hanno sottolineato l’importanza di raccontare un pezzo di storia che va tramandata alle nuove generazioni, in memoria di Onofrio e di quelli come lui morti non da eroi ma da vittime innocenti di un disegno criminale: “Quella di Bologna - ha rimarcato D’Arrigo - è una delle poche stragi in cui esiste una verità giudiziaria, un eccidio frutto di una convergenza di interessi del gruppo neofascista Nar (Nuclei armati rivoluzionari), della Loggia P2 e dei Servizi segreti deviati che depistarono le indagini”. Secondo il procuratore capo “il popolo deve sapere la propria storia per progettare il futuro e servono un’affermazione di verità e una completezza dell’accertamento sul piano dell’individuazione dei mandanti, sia per la ricostruzione storica che come ristoro morale per i familiari delle vittime”. Il magistrato ha evidenziato come le trame dell’eversione in Italia affondino le loro radici in un atteggiamento complessivo di resistenza verso l’affermazione del nuovo, come la Repubblica nata nel 1946 e la Costituzione del 1948, ricordando come due anni dopo la Liberazione i fascisti tornarono nei posti di potere e ciò abbia condizionato pesantemente il processo di modernizzazione del Paese. “Ci sono stati ritardi anche nel contrasto alle mafie - ha detto - l’Italia non riesce a far capire all’Unione Europea cosa sia la mafia, le direttive trattano di terrorismo, criminalità organizzata, corruzione, tutela dell’ambiente ma non c’è un riferimento alla criminalità organizzata di tipo mafioso e l’unica nazione che riconosce il reato di associazione di tipo mafioso è l’Italia, dove mafia e terrorismo sono andati a braccetto. Chi ha responsabilità di governo - il monito lanciato dal procuratore capo di Messina - si faccia farsi promotore in seno alle istituzione europee di un processo virtuoso che passi attraverso una direttiva che inviti o imponga, se necessario, a tutti gli Stati di formulare reati che rispondano al fenomeno mafioso, spesso collegato alle trame eversive e terroristiche alcune delle quali responsabili di stragi come quella di Bologna”. Giovanni Ricci ha sottolineato come vi sia il dovere morale, civile, etico e sociale di raccontare: !Serve una memoria storica per ridare dignità, onore e visibilità alle storie delle vittime - ha detto - sono cicatrici che forse non si chiuderanno mai, ma si sta arrivando alla verità quantomeno storica per consegnarla ai giovani”, mentre Restifo ha esortato a ricordare Onofrio Zappalà come persona e non come numero, evidenziando come ricordare la vita delle vittime ci deve fare inorridire ancora di più, vita di speranze, esperienze, amore, costruzione del futuro, prospettive: “Dopo 44 anni aspettiamo di avere la completezza delle prove ma c’è tanta perseveranza, la magistratura ha fatto il suo dovere nonostante difficoltà, confusione, depistaggi, testimonianze false poi ritrattate, ma le risultanze sono arrivate”.