Martedì 18 Marzo 2025
Il Tribunale del Lavoro ha accolto il suo ricorso e ha ordinato all'ente di risarcirla


Roccalumera, dipendente licenziata per un errore: Comune condannato a riassumerla

di Andrea Rifatto | ieri | ATTUALITÀ

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La donna può tornare in servizio

Non poteva essere licenziata la dipendente del Comune di Roccalumera mandata a casa lo scorso 21 settembre, con la motivazione di aver superato il periodo di comporto pari a 540 giorni (periodo massimo di non lavoro dovuto a malattia o infortunio superato il quale il datore di lavoro può recedere dal contratto), avendo accumulato 564 giorni di assenza nel periodo 19 settembre 2021-19 settembre 2024. Il Tribunale del Lavoro, dopo un tentativo di conciliazione con esito negativo, ha accolto il suo ricorso, presentato dall’avvocato Giuseppe Minissale, e ha condannato il Comune a reintegrarla nel posto di lavoro e a risarcirle il danno mediante il pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (non quantificabile in mancanza dei dati contabili), corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore a 24 mensilità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione al soddisfo. La sentenza è della giudice Valeria Totaro, che ha inoltre condannato l’ente al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo e a rimborsare all’impiegata le spese del giudizio, pari a 4.628 euro, in favore del suo legale. Secondo il Comune, difeso dall’avvocato Carmelo Neri, il rapporto di lavoro con la dipendente è stato caratterizzato da un immediato e continuo assenteismo, tale da registrare nell’arco di un solo triennio 564 giorni di assenza, e già alla data del 27 agosto 2023 erano state contabilizzate 545 assenze, come specificato nella lettera di preavviso di superamento del comporto inviata alla lavoratrice. Successivamente a tale comunicazione l’impiegata ha contestato i conteggi, iniziando tramite il suo legale una interlocuzione con l’ente, emergendo una discordanza di 57 giorni; trattandosi di triennio mobile, per i mesi di settembre e ottobre 2023 la lavoratrice ha ridotto il numero di assenze, il che ha comportato una riduzione sotto-soglia, e il 19 settembre 2024 ha infine inviato l’ennesimo certificato di malattia totalizzando 564 giornate complessive di assenza.

La giudice ha sì riconosciuto conforme il metodo di calcolo adoperato dal datore di lavoro, ma ha “smontato” il totale calcolato dal Comune in quanto dai certificati medici telematici, rimasti incontestati, è emerso che l’impiegata è stata assente in vari periodi dal giugno 2023 al settembre 24 anche per malattia da Covid-19 per un totale di 59 giorni e la Legge 27/2020 stabilisce che “il periodo trascorso in malattia o in quarantena dovuta Covid-19 è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero e non è computabile ai fini del periodo di comporto”. La ratio della norma è infatti quella di non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell'assenza dal lavoro, allorché questa sia riconducibile causalmente alle misure di prevenzione e di contenimento previste dal legislatore al fine di limitare la diffusione del virus Covid-19, in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus e a prescindere dallo stato di malattia, che può coesistere o meno con esso. Dunque dal conteggio andavano sottratti 59 giorni per un totale di 505 giorni di assenza, meno del massimo contrattualmente previsto (540 giorni negli ultimi 1095). Il licenziamento è stato quindi dichiarato nullo, in quanto alla data del recesso del contratto la donna non aveva ancora superato il periodo di comporto, con la condanna del Comune a riassumerla e risarcirla. Una vicenda che potrebbe avere anche altri risvolti oltre quelli civili.


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