S. Teresa, chiuso il caso di via Fiorentino: il Comune evita risarcimento da 500mila euro
di Andrea Rifatto | 12/02/2023 | ATTUALITÀ
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L'accesso ad un complesso era al centro del contendere
A sedici anni dal suo avvio si chiude in Cassazione con un verdetto favorevole per il Comune di Santa Teresa di Riva la causa civile intentata nel 2007 da una donna di Roccalumera, che ha chiesto un risarcimento da mezzo milione di euro per due concessioni edilizie revocate. La Suprema Corte ha infatti rigettato il ricorso con un’ordinanza della Sesta Sezione civile, condannando la ricorrente al rimborso ai due controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, pari a 7mila euro ciascuno. Verdetto analogo a quello di primo e secondo grado, l’ultimo del 2021, che hanno dato torto alla donna, assistita dall’avvocato Carmelo Saitta, condannandola a pagare 20mila euro di spese. In giudizio erano stati citati il Comune, difeso dall’avvocato Giovanni Monforte e l’ex dirigente dell’Ufficio tecnico, l’ingegnere Claudio Pellegrino, rappresentato dall’avvocato Fulvio Cintioli, in quanto la roccalumerese, proprietaria di un lotto di terreno in via Fiorentino, dopo aver ottenuto tra il 2002 e il 2003 due concessioni edilizie per l’edificazione di tre lotti, ricavati con un piano di lottizzazione, e aver dato inizio ai lavori di costruzione del rustico di tre fabbricati, tra marzo e giugno 2003 si era vista revocare in autotutela i titoli edilizi da Pellegrino, poiché secondo l’ingegnere capo aveva falsamente indicato nei progetti che l’accesso ai lotti sarebbe stato esercitato attraverso la via pubblica, mentre la via Fiorentino era una strada privata ad uso pubblico. Revoche che secondo la proprietaria le avevano causato un danno, esponendola ad un’azione risarcitoria da 320mila euro da parte degli acquirenti di due lotti e facendole subire un processo penale per false dichiarazioni, chiuso nel 2007 con l’assoluzione “perchè il fatto non costituisce reato”, con sequestro e fermo lavori con un danno da 180mila euro. Poi nel 2006 aveva presentato nuova domanda di concessione (documentando il suo diritto di servitù di passaggio) e nel 2007 le era stata rilasciata la concessione edilizia. In Cassazione la donna contestava che la sentenza di appello aveva “una motivazione apparente o inesistente a fondamento della decisione assunta”, oltre che “viziata e illegittima”, in quanto era stata già assolta in sede penale dall’accusa di false dichiarazioni, con la conseguenza che “la revoca delle concessioni già assentite dalla Pubblica Amministrazione doveva ritenersi del tutto illecita e lesiva dei suoi interessi”. Ma il motivo del suo ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato: per gli ermellini, infatti, “la motivazione non solo è esistente bensì anche articolata, avendo la Corte d’appello dato conto dell’impossibilità di ascrivere alcuna responsabilità per danni nei confronti di Comune e ingegnere capo, dovendo ricondursi la contestata revoca delle concessioni edilizie già assentite in favore dell’attrice, al comportamento della stessa, indicata come responsabile di aver prospettato come ‘pubblica’ una via meramente privata (benché di uso pubblico), generando, conseguentemente, l’impossibilità di un legittimo rilascio delle concessioni in esame”. In ogni caso “la domanda risarcitoria avanzata dalla proprietaria avrebbe dovuto ritenersi priva di fondamento, avendo la stessa trascurato di fornire alcuna idonea dimostrazione delle conseguenze dannose eventualmente subite come effetto dell’illecito contestato”.