Santi e migranti nel Ferragosto a Limina: storie di fede, imprenditoria e ritorni in paese
di Filippo Brianni | 15/08/2022 | ATTUALITÀ
di Filippo Brianni | 15/08/2022 | ATTUALITÀ
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Il convegno per la Giornata dell’Emigrazione
Filippo Saglimbeni ha ottant’anni. Non li dimostra. Quando parla, ogni sua frase è una foto. Dentro c’è la sua vita a Caracas, tra i suoi “negocias” – così definiscono gli affari a quelle calde e tumultuose latitudini – come venditore di auto (“Limina Auto”), costruttore (“Limina Tower”). “Ho fatto pure l’investigatore privato da ragazzino”. Normale per un ragazzino che emigra e deve subito abituarsi a non farsi sfuggire nessun dettaglio. Si è fatto strada lui, lì. Qui passeggia tra le strade liminesi come se avesse ancora le ginocchia verdi e sbucciate dalle pietre in paese e dalla fatica nei campi circostanti. La processione è anche per lui, così come per i tanti emigranti che nel Ferragosto trasformano i bar di Limina in luoghi dove inglese, spagnolo, tedesco e inflessione lombarda si rincorrono e si inseguono tra sorrisi ed abbracci, ricordi ed aneddoti. Ed ogni tanto qualche salutare alterco. Lui, San Sebastiano il martire, quello che si è fatto uccidere da frecce straniere per non abiurare alla propria fede, somiglia a loro: Limina la si lascia, non la si abbandona. Chissà, forse proprio per questo, malgrado il santo “preferito” qui sia senz’altro San Filippo, il patrono incrollabile è e resta San Sebastiano: per il suo essere fedele, fino alla morte, in mezzo ai soldati pagati, malgrado le loro frecciate. E San Sebastiano ha attraversato placido ieri in processione “U spicu ‘u surdatu”, quell’angolo che collega piazza Marconi, “U chianu”, alla strada, al mondo, che attraversa Limina e che da Limina parte. Quell’angolo poetizzato da Peppino Cavarra, intellettuale liminese che proprio sulle pietre di questo paese, suoi modi di chiamare “spichi” gli angoli ha scritto Carusanza, una della più belle ed originali nella sua rocciosa ed apprezzata opera letteraria e di ricerca all’università di Messina. San Sebastiano ieri ha inaugurato la tre giorni di eventi religiosi, seguito dal nuovo stendardo, quello realizzato lo scorso anno grazie alle raccolte dei fedeli coordinate da Franca Coglitore. Oggi, 15 agosto, toccherà alla Madonna delle Preghiere, o delle “Preci”, un altro tassello importante non solo per la religione, ma anche per la lettura della storia e cultura di Limina. Il suo culto è legato alla presenza giudaica in questi luoghi e del quartiere che ancora oggi ne perpetua il nome, “A Judeca”. Fu lì che nel 1396 si realizzò la chiesa dalla Madonna delle Preghiere, la cui immagine rappresenta un bambino che supplica il piccolo Gesù in braccio alla madre. Una funzione di monito e di invito ad una preghiera di conversione in un periodo storico che culminerà, un secolo dopo, nella cacciata degli ebrei, ma non dei loro beni, che passarono di mano. Perché la storia lo insegna come la religione può diventare spesso un’arma impropria della politica e delle sue ragioni economiche. La statua della Madonna delle Preghiere sfilerà alle 19 nell’affascinante vara lignea ottocentesca realizzata nel 1860 dallo scultore peloritano Giuseppe Gangeri, restaurata proprio quest’anno da Carmelo Geraci di Messina, grazie al contributo ed al coordinamento della famiglia Restifo (“I Censi”: perché qui le famiglie non si individuano per cognome, ma per soprannome…). Il 16 agosto sarà la volta di San Filippo d’Agira che chiuderà il triduo di feste dedicate agli emigranti. Un santo “migrante” anche lui, un sacerdote partito dall’antica area siriana e finito in terra di Sicilia, dove si integrò talmente bene da evangelizzare eretici, guarire malati e scacciare i demoni. Segno che anche ai suoi tempi chi viene da fuori spesso vede e combatte i demoni meglio di chi ci ha sempre vissuto e convissuto, anche in complicità… Anche quest’anno l’agosto liminese non si è fatto mancare la Giornata dell’Emigrazione, un convegno che ogni anno dal 2004 si focalizza su uno degli aspetti del complesso fenomeno migratorio. Si è tenuto nell’aula consiliare, per parlare di “Torno e imprendo: emigrati di ritorno ed imprenditoria locale”. Durante i lavori il Comune ha consegnato una pergamena di riconoscimento a Silvia Beck, nipote di emigranti liminesi che ha presentato un documentario sull’emigrazione di Limina a Brescia, e un’altra a Santina Saglimbeni, figlia di emigranti ritornata a Limina a causa della crisi in Venezuela, autrice di una mostra di pittura in corso al “Polifunzionale Scaldara” e vincitrice del premio “Artista dell’anno 2022” a Cesenatico. Subito dopo, l’Università di Messina ha presentato alcuni propri contributi. Tindaro Bellinvia, assegnista di ricerca in Sociologia, si è soffermato sul concetto di “dignità” del migrante, nelle sue varie fasi ed accezioni. Vincenzo Pintaudi, dottore di ricerca, ha focalizzato l’attenzione sul periodo 1880-1914 e sulle ragioni per cui si verificò, anche da Limina, l’epocale esodo “transoceanico”. Francesca Frisone ha presentato uno studio sull’emigrazione di ritorno svolto negli anni ’60 in provincia di Enna che non diede risultati molto incoraggianti quanto ad impatto sull’economica locale. In mezzo, Pietro Saglimbeni, che ha raccontato episodi di emigrazione di ritorno liminese e Antonino Franchina, amministratore delegato della società “Medietica”, il quale si è soffermato su strumenti finanziari ed opportunità a disposizione degli emigranti che volessero investire in Sicilia, ribadendo “che non c’è un problema di risorse, ma di idee progettuali”. Il convegno è stato organizzato dal Comune di Limina, con l’intervento del sindaco Filippo Ricciardi e dell’assessore Serena Tamà, in collaborazione con l’Università peloritana ed Archeoclub Area Ionica Messina. Tra qualche giorno, valigie e ricordi lasceranno nuovamente Limina per Caracas, New York, Milano, Karben di Francoforte. Molte persiane si chiuderanno di nuovo ed il “Chiano” tornerà al suo dialetto. Con tanti anziani emigranti che continueranno a sognare di tornare e tanti giovani liminesi che sogneranno di emigrare. Ma per tutti il desiderio di guardare l’anno prossimo insieme passare i propri santi proprio da lì, dallo “spicu ‘u surdatu”.