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Savoca, il Tar respinge il ricorso della Sicobit: lo stabilimento di asfalti deve fermarsi
di Andrea Rifatto | 13/08/2022 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 13/08/2022 | ATTUALITÀ
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Lo stabilimento industriale in contrada Mandrazzi a Savoca
Le attività della Sicobit non possono andare avanti, così come stabilito dalla Città metropolitana. È il verdetto del Tar di Catania, ad un anno dalla presentazione del ricorso, con il quale viene confermato lo stop alle attività dell’impresa del gruppo Musumeci, che lavora conglomerati bituminosi all’interno dello stabilimento di Savoca, dando lavoro a una ventina di persone compreso l’indotto. I giudici della Prima sezione (presidente Pancrazio Maria Savasta, consiglieri Giuseppina Alessandra Sidoti e Giovanni Giuseppe Antonio Dato) hanno respinto su tutti i punti il ricorso con il quale la società, difesa dagli avvocati Andrea Scuderi e Giuseppe Sciuto, chiedeva l’annullamento dei provvedimenti emanati tra maggio e giugno del 2021 dalla Città metropolitana e dal Comune, ossia il rigetto della richiesta di unificazione e concentrazione nell’Autorizzazione unica ambientale delle autorizzazioni già esistenti, con l’obbligo a non svolgere alcuna attività lavorativa, e il parere dell’Ufficio tecnico comunale che non ha riconosciuto la compatibilità urbanistica dell’area di contrada Mandrazzi dove sorge l’insediamento, in quanto ricadente in zona E (agricola) del Programma di Fabbricazione, dove dal 2010 sono vietate le attività industriali e di cava, così come nel Piano regolatore generale del 2019 (ancora non approvato). Le tesi avanzate dagli avvocati Cecilia Nicita per conto del Comune e Aldo Tigano per la Città metropolitana hanno dunque prevalso in giudizio. Estromessi dal ricorso l’Assessorato regionale Territorio e Ambiente, l’Autorità di Bacino del Distretto Idrografico della Sicilia e la Struttura Territoriale Ambientale di Messina-Area 2 Demanio Marittimo, così come da loro richiesto visto che non avevano espresso alcun parere nella conferenza di servizi. Secondo la Sicobit “i provvedimenti impugnati sono illegittimi essendo espressamente esclusa la partecipazione del Comune e quindi l’emanazione di un parere nel procedimento di rinnovo mediante Autorizzazione unica ambientale dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera e della comunicazione al recupero di rifiuti non pericolosi” e vi è “un nuovo ed illegittimo esercizio da parte del Comune di Savoca di quelle valutazioni di compatibilità urbanistica che vennero a suo tempo già esercitate, consentendo l’installazione e l’avvio d’una attività aziendale durata oltre venti anni”. Secondo il Tar, invece, “le valutazioni di ordine ambientale non potevano rimanere avulse da quelle di ordine urbanistico-edilizio, stante la loro innegabile interconnessione reciproca, con la conseguenza che anche i profili urbanistico-edilizi non potevano restare estranei al modulo procedimentale (conferenza di servizi) cui concorrono le amministrazioni competenti per i singoli settori rilevanti, compreso il Comune per ciò che attiene alla compatibilità urbanistica dell’impianto (e più in generale ai profili concernenti l’assetto del territorio)”. La società ha poi contestato nel ricorso che “la sopravvenuta incompatibilità urbanistica dell’impianto aziendale e chiusura dello stesso a seguito della variante del 29 novembre 2010 al Programma di Fabbricazione e dell’adozione del nuovo Piano regolatore generale è del tutto insussistente” e che "la variante del 2010 costituisce semplicemente interpretazione della normativa regolamentare sulle zone E Agricola che non vieta l’esercizio dell’impianto, come comprovato dallo stesso comportamento del Comune che per ben undici anni ha regolarmente consentito la prosecuzione dell’attività”, mentre per il Prg “le misure di salvaguardia impongono la sospensione delle richieste di rilascio di nuovi titoli edilizi ma nella fattispecie si tratta di un impianto esistente da 24 anni e non la realizzazione di un nuovo impianto, con conseguente inapplicabilità delle misure di salvaguardia”. I giudici amministrativi hanno invece rilevato che “l’affermata inerzia del Comune di Savoca - che per undici anni (dal 2009, ndc) ha regolarmente consentito la prosecuzione dell’attività - non può costituire elemento sintomatico dell’illegittimità della successiva attività amministrativa, (posto che la mera inerzia dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è certo idonea a far divenire illegittima la successiva attività), ma non può neppure essere foriera d’affidamento alcuno sulla legittimità dell’attività svolta dalla deducente, poiché tutti gli atti adottati dal Comune sono anteriori al 2010 (momento della richiamata variante e della relativa interpretazione circa le attività ammesse nella zona) e, quindi, deve escludersi che la società ricorrente sia stata destinataria – si ribadisce, dopo l’anno 2010 - di un atto amministrativo favorevole in merito all’esercizio dell’attività in quell’area idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata”. La società sosteneva di poter andare avanti vista “la preesistenza, risalente al 1997, ed autorizzata dalla stessa Amministrazione comunale, d’uno stabile e continuo esercizio aziendale, senza soluzione di continuità e senza apportarvi alcuna modifica”, come stabilito nel 2009 dal Comune con il provvedimento di rinnovo “di attività produttiva preesistente, già titolare di precedenti autorizzazioni”, ma il Tar ha ribadito che il nulla osta al subingresso è stato rilasciato dal Comune “a titolo provvisorio e temporaneo”, nelle more della definizione della “complessa problematica inerente le attività produttive ricadenti nell’area denominata Mandrazzi”. Una problematica poi mai risolta.