Giovedì 26 Dicembre 2024
Rigettato dopo 12 anni il ricorso della società per i danni subiti dopo lo stop alla cava


Savoca, no dal Tar al risarcimento Sicobit: il Comune salvo da una mannaia da 2,4 milioni

di Andrea Rifatto | 16/07/2023 | ATTUALITÀ

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Lo stabilimento rimase fermo tra il 2008 e il 2009

Non vi fu responsabilità degli enti coinvolti, dunque alla società non spetta alcun risarcimento. A dodici anni di distanza è arrivata ieri la sentenza del Tar di Catania sul ricorso presentato nel 2011 dalla “Sicobit” contro il Comune di Savoca e il Distretto minerario di Catania, finalizzato ad ottenere un risarcimento danni da 2,4 milioni di euro dopo l’annullamento dell’autorizzazione all’attività nella cava di gneiss. I giudici della Seconda Sezione hanno rigettato il ricorso, evitando così che sull’ente savocese, difeso dall’avvocato Cecilia Nicita, cadesse una pesante mannaia, così come sul Distretto minerario della Regione. La vicenda nacque il 3 luglio 2008, quando il Comune rilevò la mancanza della distanza minima di 500 metri tra la cava e i nuclei abitati, accertando che fosse invece di 221 metri, oltre alla presenza di una situazione di pericolo per l’accesso al sito tramite un alveo torrentizio. Il 13 agosto 2008 il Distretto minerario annullò l’autorizzazione del 1996 con la sospensione immediata dei lavori di estrazione, ma poi nel 2009 il Cga di Palermo accolse il ricorso della “Sicobit” e annullò i provvedimenti di entrambi gli enti. Due anni dopo la società si rivolse al Tar, assistita dagli avvocati Giuseppe Sciuto e Andrea Scuderi, per chiedere i danni per la preclusione dell’attività dal 13 agosto 2008 al 29 luglio 2009. 

Adesso i giudici hanno stabilito che “non può essere riconosciuta la responsabilità delle Amministrazioni coinvolte, in quanto le stesse sono incorse nel cosiddetto errore scusabile, determinato dalla oggettiva complessità della situazione di fatto che ha avuto origine dalla perizia effettuata dal Comune, in forza della quale è risultata una distanza minore dei 500 metri richiesta dalla legge”. In sostanza “la complessità della situazione di fatto fa venire meno il giudizio di rimproverabilità che necessariamente deve sussistere sotto il profilo soggettivo (esattamente della violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione) l’accertamento dell’illecito”. Quindi la pretesa risarcitoria non può essere accolta perchè “non è stato fornito alcun riscontro probatorio in ordine al dedotto esercizio del potere amministrativo in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede ed alla sussistenza dell'elemento soggettivo nella forma del dolo ovvero della colpa grave”.


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