Venerdì 11 Ottobre 2024
L'indagine a carico dell'ex vicesindaco di Itala, arrestato ad Assisi e adesso in carcere


Favori al figlio del boss in carcere e patto con il clan: tutte le accuse a Carmelo Palo

di Andrea Rifatto | 09/10/2024 | CRONACA

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Il carcere di Giarre e Carmelo Palo

Un patto stretto con il figlio del boss, al quale garantiva favori durante la sua reclusione in carcere.  È l’accusa che la Procura Distrettuale Antimafia di Catania muove nei confronti di Carmelo Palo, 43 anni, ex vicesindaco di Itala (ieri gli è stato revocato l'incarico) arrestato il 2 ottobre dalla Squadra Mobile della Polizia di Stato etnea, in collaborazione con i colleghi della Mobile di Perugia, mentre si trovava ad Assisi per partecipare insieme al sindaco alla cerimonia in onore del patrono d’Italia San Francesco. Insieme a lui, in esecuzione di un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali e reali emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, è coinvolto anche Antonino Di Grazia, 43 anni, figlio di Orazio Di Grazia detto Scarpa Pulita, esponente di spicco del clan Laudani con un ruolo apicale nel gruppo di Picanello. I due sono accusati, in concorso tra loro, di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose e di accesso abusivo a sistemi informatici con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose. Le indagini, coordinate dalla Procura ed eseguite dalla locale Squadra Mobile-Sezione Reati contro il Patrimonio e la Pubblica Amministrazione–Unità Anticorruzione della Polizia di Stato, hanno permesso di acquisire, allo stato degli atti, elementi che dimostrerebbero la sussistenza di condotte illecite di natura corruttiva che vedevano, come soggetti attivi, l’agente penitenziario Palo, in servizio nella casa circondariale di Giarre e il detenuto Di Grazia. Il provvedimento restrittivo - rende noto la Procura etnea - compendia gli esiti di un’attività di indagine scaturita da alcune segnalazioni provenienti dalla Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Giarre, che avrebbe permesso di accertare come Di Grazia, sfruttando l’interesse di Palo per le scommesse sportive, gli avrebbe fornito di volta in volta notizie sui risultati di incontri di calcio di serie minori che, a suo dire, sarebbero state truccate per effetto di un accordo illecito sostenuto dalla famiglia mafiosa di appartenenza e gli prometteva il pagamento degli importi per sostenere le scommesse. 

In cambio di tali favori, Carmelo Palo offriva la sua piena disponibilità a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio in favore del detenuto, omettendo controlli e segnalazioni nei suoi confronti, fornendogli informazioni riservate anche acquisite tramite banche dati in uso esclusivo alle Forze dell’ordine, ritardando il deposito di rapporti disciplinari a carico del detenuto, al fine di evitare conseguenze sull’imminente rilascio di permessi premio e avrebbe omesso di segnalare il possesso da parte del detenuto di un telefono cellulare, consentendogli di utilizzare illegalmente il telefono dell’ufficio matricola e avvisandolo su imminenti perquisizioni delle celle. In tale ambito, le indagini hanno delineato un quadro di totale asservimento della funzione pubblica esercitata da Palo agli interessi personali e privati di Di Grazia, tanto che quest’ultimo prefigurava al pubblico ufficiale, una volta conclusa la sua detenzione, possibili affari illeciti in comune e gli prometteva la consegna di ingenti somme di denaro da custodire nell’abitazione dell’agente penitenziario con la possibilità di utilizzarle. La Dda contesta “l’aggravante di avere commesso il fatto con il metodo in modalità mafiose avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che deriva dalla presenza sul territorio dell’associazione mafiosa” essendo “Antonino Di Grazia, figlio di Orazio esponente clan Laudani, responsabile del gruppo di Picanello, ed evocando il potere economico e criminale della propria famiglia come fondamento del patto produttivo con Palo”. In tale contesto, l’attività investigativa ha permesso di far emergere l’intestazione fittizia del notissimo bar catanese denominato “Caffè Etna Srl”, intestato a soggetti “di comodo”, al fine di eludere misure di prevenzione. Il giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica, ha quindi disposto nei confronti dei due indagati l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere e inoltre il sequestro preventivo delle quote della “Caffè Etna Srls” nonché del complesso aziendale, il cui valore - secondo le prime stime - potrebbe attestarsi intorno ai 600mila euro, in relazione al delitto di trasferimento fraudolento di valori. La posizione del titolare “di fatto” dell’esercizio commerciale è attualmente al vaglio del gip. 


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