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Femminicidio di Lorena Quaranta a Furci, la Procura: "De Pace ha premeditato il delitto"
di Andrea Rifatto | 01/10/2020 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 01/10/2020 | CRONACA
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Lorena Quaranta e Antonio De Pace
Antonio De Pace ha premeditato l’uccisione di Lorena Quaranta e non ha agito in preda ad un raptus o preso dalla rabbia. È la tesi sostenuta dalla Procura della Repubblica di Messina sul femminicidio avvenuto il 31 marzo scorso a Furci Siculo, in cui ha perso la vita la 27enne di Favara, studentessa di Medicina all’Università di Messina, uccisa dal fidanzato. Il sostituto procuratore Roberto Conte, che ha coordinato l’inchiesta condotta dai carabinieri della Compagnia di Taormina, ha siglato l’avviso di conclusione indagini, notificato al 27enne infermiere calabrese, confermando l’accusa di omicidio con l’aggiunta però di un’altra aggravante - oltre quelle di aver commesso il fatto contro la persona con cui aveva una relazione affettiva e per motivi abbietti e futili - ossia quella della premeditazione. Dunque si aggrava la posizione di De Pace, che avrebbe premeditato il delitto messo in atto nella villetta di via Delle Mimose 12, “avendo ideato le modalità e predisposto i mezzi per l’attuazione del piano criminoso - scrive il sostituto procuratore Conte - tanto da premurarsi di inviare, prima del delitto, alla sorella e al fratello, due messaggi, mediante l’uso dell’applicazione WhatsApp, con i quali manifestava la volontà di trasferire i risparmi, accumulati nel proprio conto corrente, ai nipoti. Messaggi che provvedeva a cancellare dal dispositivo allo stesso in uso per non lasciare traccia della propria determinazione criminosa”. Segno, secondo l'accusa, che aveva pianificato il delitto ed era certo delle conseguenze che ne sarebbero derivate. La Procura specifica inoltre come l’assassino “ideava di entrare nella camera da letto in cui si trovava Lorena al fine di tramortirla, colpendola con un oggetto contundente, così da rendere più agevole la realizzazione della condotta”, prima di metterle la mani al collo e strangolarla portandola alla morte pochi istanti dopo per “asfissia acuta da soffocazione diretta”. Quando siano stati inviati questi messaggi ai familiari non è specificato nel provvedimento ma gli atti dell’inchiesta contengono ulteriori dettagli che porteranno a capire quali siano gli elementi che hanno spinto la Procura a giungere alle conclusioni cristallizzate nell’atto di chiusura delle indagini. Il femminicida è difeso dagli avvocati Bruno Ganino e Ilaria Intelisano, mentre la famiglia Quaranta è rappresentata dall’avvocato Giuseppe Barca. Antonio De Pace, durante il primo interrogatorio nella caserma dei Carabinieri di Santa Teresa, aveva detto di aver ucciso la propria fidanzata “se non erro alle quattro o cinque di mattina, l’orario non lo ricordo. Ho usato un coltello, ho usato un piede, l’ho colpita alla testa con una lampada, l’ho colpita con un coltello all’addome e poi è morta. Con una lampada l’ho colpita alla faccia, la lampada era sul comodino. Le mani le ho messe al collo. L’ho affogata. Non ho altro da dire”. Tra i due c’è stata probabilmente una colluttazione seguita ad un violento litigio, Lorena ha tentato forse di difendersi ma lui non le ha lasciato scampo strangolandola: “La mia ragazza ha reagito, abbiamo avuto una colluttazione e poi l’ho uccisa - aveva detto sempre in sede di interrogatorio - e iniziata una lite alle nove di sera circa e poi l’ho ammazzata alle quattro. Avevo litigato perché soffrivo di ansia per il Coronavirus”. Poi l’infermiere ha tentato di suicidarsi, provocandosi dei tagli al collo e ai polsi. Un racconto confuso, poi più nulla, visto che davanti al giudice l’infermiere calabrese di Dasà non ha aperto bocca. Adesso è rinchiuso nel carcere di Messina Gazzi, dove gli è stato notificato il provvedimento e dove attenderà gli sviluppi processuali della vicenda.