Fogna in mare a Letojanni, la Cassazione condanna sindaco ed ex presidente Consorzio
di Andrea Rifatto | 28/10/2020 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 28/10/2020 | CRONACA
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Lo sversamento di fogna in mare nel 2012
Si è chiuso con due condanne e un annullamento con rinvio l’ultimo grado del processo sugli sversamenti di fogna avvenuti nell'estate del 2012 nel mare di Letojanni. La Corte di Cassazione ha confermato parzialmente il verdetto del 14 giugno 2019 della Corte d’appello di Messina, con il quale è stata decisa la condanna del sindaco Alessandro Costa a sei mesi (pena sospesa) per rifiuto di atti d’ufficio e violazioni delle norme ambientali (con assoluzione dall’accusa di danneggiamento aggravato) e dell'allora presidente del Consorzio per la distribuzione della rete fognante per la realizzazione degli impianti di depurazione e manutenzione fra i comuni di Taormina, Castelmola, Giardini e Letojanni, Giuseppe Manuli, a cui è stato inflitto un anno per danneggiamento aggravato e rifiuto di atti d’ufficio. Il sostituto procuratore generale Assunta Cocomello aveva chiesto la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi e i giudici della Seconda sezione penale hanno rigetto quasi in toto i ricorsi dei legali difensori, gli avvocati Salvatore Gentile, Giuseppe Marino e Nunzio Rosso. Per Stefano Codevilla, all’epoca dei fatti responsabile dell'Ufficio tecnico del Consorzio e condannato ad un anno in primo grado e appello, gli ermellini hanno invece deciso l’annullamento della sentenza con rinvio per un nuovo giudizio alla Corte d'appello di Reggio Calabria. In primo grado erano stati assolti per non aver commesso il fatto il direttore tecnico del Consorzio, Gaetano Manganaro e il presidente del Consiglio di amministrazione, Giuseppe De Pasquale. La vicenda scaturì dalle immissioni di reflui fognari non trattati provenienti dal depuratore di contrada San Filippo, gestito dal Consorzio Rete Fognante, che si verificarono fino al 17 agosto 2012: secondo l’accusa l’impianto andò in tilt e non riuscì a smaltire tutti i reflui in entrata provocando l'immissione nel mare di Letojanni di sostanze inquinanti oltre i valori limite (escherichia coli, azoto ammoniacale e azoto nitroso), con un ribollimento che fece diventare l'acqua nera e maleodorante. La Cassazione ha confermato le responsabilità di Manuli evidenziando come fosse “palese la situazione di fatto relativa alle condizioni dell'impianto di depurazione e le conseguenze che ne derivavano quanto all'immissione nel tratto di mare di reflui con cariche batteriche e presenza di inquinanti, in misura certamente superiore ai limiti di legge e in grado di compromettere le condizioni del tratto di mare ove venivano sversati”, mentre per il sindaco Costa è stata ribadita la condotta omissiva “per aver emesso l'ordinanza di divieto di balneazione solo il 13 agosto 2012, con comunicazione alle autorità interessate effettuata con consistente ritardo il 6 settembre”, nonostante un sopralluogo effettuato già il 7 agosto e la “sequela di segnalazioni effettuate dallo stesso sindaco sin da luglio 2012, a dimostrazione della sicura consapevolezza della condizione di pregiudizio igienico che si stava realizzando per la salute pubblica, rispetto alla quale si rendeva necessaria l'emissione di provvedimenti urgenti”. La sentenza di Appello aveva già messo in rilievo, come già aveva segnalato il Tribunale, che “la decisività della tempestiva comunicazione e pubblicità del divieto di balneazione, considerando tanto l'oggetto del provvedimento incidente sulla salute pubblica e sull'igiene quanto il contesto temporale in cui era destinato a intervenire (nel corso della stagione balneare da tempo iniziata), per assicurare un'efficace tutela delle esigenze della collettività”. La condanna a sei mesi non comporta la sospensione dalla carica di sindaco per 18 mesi, ai sensi della Legge Severino, in quanto il rifiuto di atti d’ufficio non rientra tra i reati per i quali scatta la sanzione al momento della condanna definitiva; negli altri casi la sospensione può scattare per condanne superiori a sei mesi. Il ricorso presentato dall’avv. Rosso per Codevilla è stato invece ritenuto fondato in quanto la Corte d’appello “ha omesso di valutare in concreto l'esistenza dei poteri (di assunzione di impegni di spesa e di conclusione dei contratti di esecuzione di opere) necessari per l'adozione degli atti amministrativi che formavano oggetto dell’addebito”: si dovrà quindi accertare se come responsabile dell'Ufficio tecnico del Consorzio sia responsabile di “una dolosa omissione nell'esecuzione degli interventi di manutenzione straordinaria di riparazione della condotta di scarico a mare dei reflui, alla luce delle indicazioni desumibili dall'esame reso dall’imputato (nel corso del quale erano state illustrate le ragioni tecniche che avevano determinato la scelta di procedere prima a lavori presso l'impianto di depurazione, e in un secondo momento ai lavori di riparazione della condotta in mare). Secondo la Cassazione “la sentenza della Corte d'appello ha omesso di prendere in considerazione questo profilo, che assume carattere decisivo alla stregua del principio secondo il quale ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 328 cod. pen., non basta che l'atto rientri in una delle categorie tipiche indicate dalla norma né che sussistano le previste condizioni di urgenza, ma occorre che l'atto sia dovuto, e dunque non rientri nell'ambito della discrezionalità del pubblico ufficiale”.