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Frana di Letojanni, gli altri indagati e l’inchiesta su quei lavori “a scatola chiusa”
di Andrea Rifatto | 10/03/2018 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 10/03/2018 | CRONACA
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La frana vista dalla Statale
Un mandato in bianco, consegnato dal Cas all’impresa Musumeci senza fornire alcuna indicazione sul tipo di lavori da effettuare e sui costi da sostenere, abdicando a vagliare l’idoneità dell’intera opera ad assicurare effettivamente la messa in sicurezza del tratto autostradale. Spiega così il giudice per le indagini preliminari Eugenio Fiorentino l’iter seguito dal Consorzio per le autostrade siciliane nell’affidare i lavori di messa in sicurezza della carreggiata lato monte del tratto di autostrada al km 32,700 dell'A18, all'altezza di Letojanni, interessato dalla frana del 5 ottobre 2015, finiti sotto la lente di ingrandimento della Procura della Repubblica di Messina e per i quali ieri sono state eseguite tre misure cautelari nei confronti del direttore generale del Cas, Salvatore Pirrone, del dirigente dell’area tecnica Gaspare Sceusa, sospesi entrambi dall’esercizio del pubblico ufficio per 12 mesi, e dell’imprenditore letojannese Francesco Musumeci, titolare della Musumeci Costruzioni Generali Spa, colpito dal divieto di esercitare l’attività di impresa per otto mesi. Oltre ai tre sono indagati il geometra Antonino Spitaleri, responsabile del Cas per la sicurezza delle strade, nei confronti del quale era stato emesso il medesimo provvedimento cautelare che però non è stato eseguito poiché l’indagato nel frattempo è stato collocato in pensione, l’ingegnere Francesco Crinò di Furci Siculo e il geologo Giuseppe Torre di Sant’Agata Li Battiati, questi ultimi nella qualità di progettisti dei lavori. I reati contestati sono disastro ambientale, peculato, abuso d’ufficio, falsità ideologica e inadempimento di contratti in pubbliche forniture. Il pubblico ministero Anna Maria Arena aveva chiesto la custodia cautelare in carcere per Sceusa, Pirrone e Musumeci e il divieto di soggiorno in Sicilia e Calabria per Spitaleri, oltre al sequestro preventivo di 41mila euro sui conti correnti di Torre e Crinò. Il Gip ha però ritenuto sufficiente tenerli lontano dagli Uffici per impedire la reiterazione dei reati, mentre ha rigettato la richiesta di sequestro perché a carico di Torre e Crinò non vi sono gravi indizi di colpevolezza, in quanto “hanno percepito la somma come compenso per una prestazione effettivamente svolta, non hanno concorso ad esercitare un ingiusto vantaggio all’impresa e sono rimasti estranei nella perizia di variante”. Disastro ambientale, peculato e falsità ideologica. Tutti i sei indagati sono accusati di disastro ambientale in concorso per la progettazione e realizzazione della messa in sicurezza della frana, “con un’opera instabile, non sottoposta a collaudo e che non era e non è idonea a garantire la pubblica incolumità, mettendo a rischio automobilisti e cittadini”. Evento già verificatosi per la parte relativa alla barriera leggera di contenimento massi – scrive il Gip – essendo stata realizzata con modalità diverse da quelle indicate nel prezziario Anas, motivo per cui il 25 novembre 2016 si verificava lo sfondamento della protezione e colamento di materiale sciolto misto a detriti e rotolamento a valle di blocchi di diversa pezzatura, che finivano sulla corsia destinata alla circolazione, a causa dell’inadeguatezza della rete, per come attestato dal Genio civile il 6 dicembre 2016”. Sceusa, Pirrone, Musumeci, Torre e Crinò devono rispondere di peculato perché i primi due “distraevano e liquidavano all’impresa Musumeci 41mila euro come aumento del compenso determinato a seguito dell’approvazione della perizia di variante disposta il 28 dicembre 2015, a lavori, ultimati, compenso non dovuto in quanto frutto di falsa rappresentazione della realtà, al fine di consentire all’impresa di beneficiare di tale ulteriore somma per elargire i compensi all’ingegnere Crinò e al geologo Torre, tecnici dalla stessa nominati e incaricati dell’elaborazione del progetto”. A Sceusa, Pirrone e Spitaleri la Procura contesta la falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici per aver approvato e ratificato la perizia di somma urgenza pur non essendo stato allegato il progetto esecutivo dell’opera ma solo il computo metrico estimativo e il verbale di affidamento e consegna, atti insufficienti a consentire il vaglio tecnico dell’opera; a Spitaleri, come direttore e responsabile dei lavori, funzioni assunte di fatto senza decreto di nomina, "per aver certificato falsamente che l’ultimazione delle opere era avvenuta il 22 gennaio 2016, quindi in tempo utile, in quanto i 45 giorni indicati nel capitolato di appalto come termine entro cui consegnare i lavori scadevano il 21 novembre 2016. Sceusa e Pirrone, in tutto ciò, sono accusati anche di non aver controllato Spitaleri. Musumeci deve di conseguenza rispondere di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico perché comunicava l’ultimazione dei lavori al 26 gennaio 2016, contrariamente a quanto registrato nel giornale dei lavori nel quale si dava atto che il 17 dicembre 2015 erano stati ultimati e sgomberato il cantiere. Abuso d’ufficio. L’accusa di abuso d’ufficio a carico di Sceusa, Pirrone, Spitaleri e Musumeci deriva “dall’aver procurato intenzionalmente all’impresa Musumeci un rilevante e ingiusto vantaggio patrimoniale. “In particolare Sceusa consentiva che il progetto esecutivo dei lavori fosse elaborato da un geologo e da un ingegnere non appartenenti al Cas – scrive il gip Fiorentino – permettendo che gli stessi fossero scelti dalla ditta che doveva eseguire i lavori attraverso un autonomo disciplinare di incarico, stipulato da Musumeci, in assenza di gara, privo di ratifica da parte della stazione appaltante, facendo poi apparire il progetto, denominato perizia, come elaborato dal Consorzio e per questo presentato si carta con intestazione del Cas, allegandolo agli atti privo di data e numero di protocollo, per impedire di risalire al momento dell’elaborazione e del deposito da parte dei progettisti incaricati dalla ditta Musumeci, ponendo la spesa per i progettisti a carico del Cas. Sceusa viene accusato di aver impegnato 500mila euro + Iva “senza avere avuto cognizione delle opere da compiere, visto che il progetto non era allegato al decreto di impegno somme, che richiamava esclusivamente il computo metrico estimativo e il verbale di affidamento lavori, elaborati dai progettisti, omissione che precludeva alla stazione appaltante la facoltà di giustificare il superamento della soglia dei 200mila euro prevista dalla legge con riferimento ai lavori in somma urgenza, nonché di effettuare la valutazione tecnica del progetto e la verifica dell’idoneità sismica e statica dell’opera. Ometteva poi “di procedere alla nomina di direttore dei lavori e responsabile del procedimento, che non potevano cumularsi in un unico soggetto trattandosi di lavori superiori a 500mila euro” e sempre i funzionari del Cas “omettevano inoltre di contestare e ottenere il pagamento della penale per il ritardo nella consegna dei lavori, che previsti per la durata di 45 giorni, avrebbero dovuti essere ultimati il 21 novembre 2015, a fonte invece di comunicazione di ultimazione avvenuta il 26 gennaio 2016, per un totale di 65 giorni di ritardo per complessivi 32mila 500 euro”. L’‘abuso viene contestato anche per aver liquidato all’impresa Musumeci la rata a saldo di 25mila euro senza che fosse stato emesso il certificato di collaudo e di regolare esecuzione dei lavori e la polizza fideiussoria a garanzia. Spitaleri avrebbe inoltre ottenuto da Sceusa e Pirrone un ingiusto vantaggio patrimoniale a Spitaleri “per aver approvato la spesa complessiva di 509mila euro che comprendeva anche la somma di 11mila euro per il direttore dei lavori, trattandosi di lavori da eseguire in somma urgenza in violazione della norma sugli appalti che vieta l’assegnazione di compenso pari al 10% dei lavori nel caso di procedura in somma urgenza”. I rapporti con il Genio civile. “Crinò e Torre, pur essendosi obbligati all’osservanza dei regolamenti emessi in materia di opere pubbliche ed alla redazione degli elaborati necessari ai fini autorizzativi, non chiedevano alcun nulla osta all’Ufficio del Genio civile – scrive il giudice – inadempienza alla quale non aveva peraltro ritenuto di sopperire il Cas (manifestando così il totale disinteresse per l’esecuzione delle opere)”. Il 25 novembre, a seguito di forti precipitazioni, la barriera protettiva cedette, lasciando che si riversasse sulla carreggiata un fiume di fango e detriti. Il Genio civile così descriveva l’accaduto: “Danno consistente principalmente in colamento di materiale sciolto mista a detriti e rotolamento a valle di blocchi di diversa pezzatura e constatata l’inadeguatezza dell’esistente rete di bordo risultata sfondata a seguito dell’impatto del materiale franato. Si ritiene utile la realizzazione di una nuova rete di protezione di bordo con materiali idonei all’assorbimento dell’impatto di materiale lapideo e adeguatamente tirantata”. Il 16 marzo 2016 il capo del Genio civile, Leonardo Santoro, sottolineava che una parte della documentazione richiesta, quella relativa alla capacità di resistenza delle barriere di contenimento e della parete armata, gli era pervenuta direttamente dal Crinò, evidenziando che il suo Ufficio non avrebbe preso in considerazione atti progettuali non ufficialmente trasmessi dal Cas. Il Consorzio autostradale trasmetteva quindi la documentazione il giorno dopo e il Genio civile rilasciava l’autorizzazione ai lavori unicamente sull’osservanza delle norme sismiche in vigore e limitatamente alle opere da ritenersi esclusivamente di natura provvisionale”, prendendo le distanze dalle scelte progettuali e dalle procedure adottate per l’approvazione in linea tecnica. La scelta progettuale e il pericolo attuale. Il consulente della Procura Concetto Pietro Costa ha rilevato che “la soluzione progettuale adottata non sia stata l’unica praticabile né tanto meno la più economica; non si è riusciti a comprendere il motivo per cui non sia stata adottata la tipologia della terra rinforzata per l’intera altezza del rilevato, prevedendo, con significativo risparmio in termini di costi dell’intervento, lavorazioni incluse nel prezziario Anas e sia stato invece previsto, con costi decisamente più elevati, l’impiego nella parte inferiore del rilevato di una complessa struttura di contenimento in acciaio, il cui sistema di ancoraggio peraltro, essendo stati verificato con codici di calcolo non confacenti al caso in esame, non fornisce ancora oggi sufficienti certezze circa la sua idoneità statica. [...] Non risulta prodotta alcune calcolazione geotecnica riguardante le verifiche sia dell’idoneità dei materiali impiegati per l’esecuzione della terra rinforzata che della stabilità interna ed esterna del rilevato, verifiche indispensabili per poter valutare il livello di sicurezza del rilevato realizzato, che, allo stato attuale, resta indeterminato nonostante sia posizionato a ridosso della carreggiata autostradale riaperta al traffico”. “Il pericolo – si legge nel provvedimento –tuttora persiste, scaturendo sia dalla mancata effettuazione della terra rinforzata e la verifica della stabilità interna ed esterna del rilevato che sostiene la parete della montagna che dalla barriera di acciaio posta alla base della struttura, in relazione alla quale i progettisti indicavano codici di calcolo parziali e non appropriati, inidonei ad assicurare certezza sull’idoneità delle barriere e di cui essi stessi evidenziavano la necessità di sostituzione perché soggette a deformazione, giustificando tale vizio dell’opera sulla base della tenuta del rilevato, pur non avendo effettuato calcolo di stabilità della geo-opera”. “Risulta del tutto plausibile ritenere che si sia cercato di mascherare, attraverso lo schermo della variante, l’effettiva destinazione dell’importo di 100mila euro, aggiunto a quello inizialmente stabilito e volto a coprire anche i costi relativi alla progettazione delle opere – conclude il giudice per le indagini preliminari - variante inserita tra due stati di avanzamento lavori e quindi senza alcuna plausibile spiegazione, con beni definiti necessari che risultavano sostanzialmente superflui e con l’inserimento per due volte della voce che riguardava il compenso per la sorveglianza del movimento franoso per 45 giorni, con un maggior compenso per l’impresa di 22mila euro. Emerge poi un debito dell’impresa nei confronti del Cas di 83mila euro, tra lavori in variante non autorizzati, sorveglianza e saldo, oltre a 32mila euro di penale non applicata”.