La gestione delle residenze per anziani: i Parisi assolti dall’accusa di estorsione
di Andrea Rifatto | oggi | CRONACA
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La casa anziani "La Reggia dei Nonni" di Gaggi
Tutti assolti dall’accusa di estorsione nella conduzione delle residenze per anziani "La Reggia dei Nonni" di Gaggi, "Casa Parisi" di Giarre, e "Gioia dei Nonni" di Aci Castello, gestite dalla famiglia Parisi. Lo ha stabilito ieri il udienza preliminare il gup Salvatore Pugliese, nell’ambito del procedimento con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta della Guardia di Finanza di Taormina che nell’ottobre 2022 fece scattare sette misure cautelari, con cinque arresti e due obblighi di firma, con un totale di tredici indagati. Davanti al gup Pugliese sono comparsi sette imputati: Nunziato Parisi, la moglie Rosa Arcidiacono e i figli Federico, Mauro Francesco e Rosario, accusati di estorsione ai danni dei dipendenti delle strutture, Maria Grazia Parisi (sorella di Nunziato) e Francesca Parisi accusati del reato di associazione a delinquere. L’accusa aveva chiesto la condanna degli imputati, ma il giudice ha accolto la tesi difensiva dell’avvocato Salvatore Silvestro e ha assolto Maria Grazia Parisi e Francesca Parisi con la formula "per non aver commesso il fatto” e tutti gli altri con la formula "perché il fatto non sussiste”. Il legale difensore ha ripercorso nella sua arringa i contenuti di una sentenza del 2024 della Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, che ha ribadito come “non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, non ricorre la prova che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione”. In precedenza gli imputati accusati d’estorsione avevano invece patteggiato una condanna a due anni (pena sospesa) per l’altro capo di imputazione di cui erano accusati, ossia intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (il cosiddetto caporalato). L’accusa contestava agli indagati come nonostante la busta paga prevista andasse da 1.184 a 1.426 euro, secondo la previsione dei contratti di lavoro collettivo per i dipendenti di cooperative, consorzi e società consortili del settore socio-sanitario-assistenziale-educativo e di inserimento lavorativo, a seconda del livello di inquadramento e per un orario di lavoro pari a 38 ore settimanali, i lavoratori delle residenze sanitarie percepivano solo 700 euro circa, indipendentemente dalle mansioni svolte e dalle ore lavorate, peraltro pari, in media, a 45 ore settimanali. Secondo l'ipotesi d’accusa, vi erano palesi violazioni alla normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie e l’illecito meccanismo era oggetto di imposizione sin dalla prima fase del colloquio per l’assunzione, con la mortificazione delle legittime aspettative dei lavoratori che, loro malgrado, si trovavano costretti a soggiacere all’illecito meccanismo estorsivo perché bisognosi di lavorare. Estorsione che il giudice non ha rilevato assolvendo gli imputati dalle accuse.