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La misteriosa morte di Giuseppe Mastroeni a Mandanici, la moglie: "Voglio la verità"
di Andrea Rifatto | 30/01/2021 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 30/01/2021 | CRONACA
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Monte Cavallo e Giuseppe Mastroeni
E se non fosse un tragico incidente, se le cose fossero andate in modo diverso rispetto alla versione ufficiale che sembra traballare? Il tarlo del dubbio scava dentro Antonella Zuccarello, che da oltre tre anni non ha certezze sulla morte del marito, Giuseppe Mastroeni, il 52enne di Antillo deceduto il 23 novembre del 2017 a Mandanici mentre era impegnato in una battuta di caccia al cinghiale con tre amici. La ricostruzione di quanto accaduto quel giorno nella zona di Acqua Pirara-Montecavallo parla di un masso che si è staccato improvvisamente dal costone colpendo l’uomo, bidello alla scuola media di Giardini Naxos, ferendolo mortalmente alla nuca. Ma sin dai primi momenti la famiglia, moglie e tre figli che vivono a Savoca, nella frazione Contura, è stata assalita dai dubbi e adesso la donna, assistita dall’avvocato Alessandra Delrio di Sassari, ha presentato un’altra richiesta di riapertura indagini, dopo il rigetto della prima da parte della Procura di Messina, evidenziando la presenza di nuovi elementi, diverse incongruenze su orari e testimonianze e chiedendo soprattutto la riesumazione della salma e l’esecuzione dell’autopsia, che potrebbe dare importanti risposte. Il caso è approdato anche alla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” di Rai Tre, dove Antonella è stata ospite mercoledì sera. “Voglio la verità sulla morte di mio marito, capire come siano andati i fatti quel giorno e cosa l’abbia ucciso - dice la donna - mi dicevano che aveva il cranio e la schiena fracassati e che non potevo vederlo, che era irriconoscibile, invece mio marito era integro, aveva solo un dente spostato e un labbro spaccato oltre alla ferita alla nuca, l'ho toccato e mi sono resa conto che quello che mi avevano detto non era vero”. A rimettere tutto in discussione è la testimonianza di un uomo, che dieci mesi dopo l’accaduto si è presentato da lei raccontando che alle 8.45 di quella mattina ha assistito ad un litigio tra Mastroeni e i tre compagni e che poi uno di loro lo ha spinto nel dirupo: “Te l’hanno ammazzato” le dice. Poi racconta la sua versione anche ai Carabinieri, ma la Procura non ha ritenuto attendibile questa ricostruzione, vista anche la lunga distanza (circa 5 km in linea d’area) tra il testimone e la scena, e il 14 agosto del 2019 il pm di turno ha rigettato l’istanza per riaprire il caso perchè “dagli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria emergerebbero contraddizioni e discordanze nelle dichiarazioni del presunto testimone, idonee a destituire di fondamento le propalazioni da quest’ultimo fornite e non si ravvisano elementi ‘significativi’ che giustifichino l’esigenza di nuove investigazioni e con esse la necessità di avanzare richiesta di riapertura delle indagini preliminari”. A far sorgere altri dubbi sono anche gli accertamenti svolti da due professionisti messinesi incaricati dalla famiglia, l’ingegnere Rodolfo Urbani e il medico legale Giovanni Andò. Il primo, grazie anche alle immagini di Google Earth, ha rilevato come quel masso mancasse dal costone già dal 5 agosto del 2016, ben oltre un anno prima della morte di Giuseppe Mastroeni, e che dunque non possa essere la causa del decesso (né presunti frammenti dello stesso). Inoltre tra il punto in cui manca il masso e quello in cui è stato trovato il corpo vi è una distanza di 200 metri e quindi secondo Urbani è balisticamente impossibile che un masso del genere possa arrivare a colpire nel modo documentato, cioè solo sulla nuca ed a taglio (quindi dall’alto in basso in maniera netta come se fosse un taglio chirurgico) senza lasciare segni evidenti di schiacciamento né sul corpo né sugli arti. Andò ha invece rilevato abbondanti macchie di sangue sul petto e sull’addome del 52enne, non collegabili alla ferita alla nuca, oltre a probabili tracce di polvere da sparo sugli abiti e piccole bruciature sulla stoffa. Tutti aspetti mai chiariti dalle indagini. Diverse poi le discrepanze anche sugli orari, visto che i compagni di caccia di Mastroeni quella sera hanno riferito ai Carabinieri di Mandanici di essere arrivati a Monte Cavallo alle 11, invece la vittima ha telefonato alla moglie alle 7.34 dicendo di essere arrivato già sul posto e che avrebbe lasciato il cellulare in macchina; alle 10.30, poi, la figlia prova a contattarlo ma il telefono squilla a vuoto e uno dei compagni dice di averlo sentito suonare mentre stava spostando l’auto ma di non aver risposto. All'inviato di "Chi l'ha visto", invece, due dei tre cacciatori (uno non è stato mai sentito dai Carabinieri) dicono di essere arrivati lì alle 7. Lo spostamento dell’auto, tra l'altro, che coincide con quanto raccontato dal testimone, che dice di aver visto dopo il litigio uno dei tre cacciatori avvicinarsi a Mastroeni “e senza che lui se ne accorgesse gli ha dato una forte spinta tanto da farlo cadere nel dirupo, ho visto quindi il corpo del Mastroeni alla fine del dirupo, esanime. A questo punto ho visto la persona che ha spinto Mastroeni salire nuovamente verso su, sino ad arrivare all’autovettura del Mastroeni. Quindi spostava detta autovettura di circa otto metri in avanti sempre nella stessa direzione di marcia, a mio avviso come per volere depistare le indagini”. Testimone che avrebbe visto tutto grazie ad un binocolo, considerata la lunga distanza, ma che finora non è stato ritenuto attendibile. “La riapertura delle indagini è necessaria, oltre che atto dovuto - dice l’avvocato Delrio, che assiste Antonella Zuccarello da agosto - abbiamo dimostrato che quel masso non avrebbe potuto uccidere Giuseppe Mastroeni, a parlare è una perizia chiara, che insieme a quella del medico legale ed alle dichiarazioni del teste sono alla base dell’istanza di riapertura che abbiamo depositato in Procura, dalla quale attendiamo una risposta seria ed efficace”. Il fascicolo di indagine, chiuso all’epoca dei fatti dal pubblico ministero Alessia Giorgianni, viene ritenuto dalla difesa fin troppo scarno, con sole cinque fotografie scattate quel giorno dal vigile urbano di Mandanici che non consentono di avere un quadro chiaro della scena del delitto, al punto che non sarebbe nemmeno certo se sia davvero quello il punto dove è avvenuta la morte del bidello antillese, visto che sotto al corpo non vi era nessuna pozza di sangue. “Non voglio incolpare nessuno, solo la verità - aggiunge la moglie - e sapere realmente come è morto mio marito”.