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Morte di Giuseppe Mastroeni, riaperte le indagini. Il superteste: "Temo per la mia vita"
di Andrea Rifatto | 20/05/2021 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 20/05/2021 | CRONACA
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La vittima e il costone sotto al quale è morto
E se non fosse stato un tragico incidente ma un omicidio? Si apre un nuovo spiraglio per arrivare alla verità sulla morte di Giuseppe Mastroeni, il 52enne di Antillo morto il 23 novembre 2017 a Mandanici durante una battuta di caccia al cinghiale con tre amici. La Procura della Repubblica di Messina ha infatti riaperto le indagini accogliendo la richiesta presentata dalla moglie, Antonella Zuccarello, tramite l’avvocato Alessandra Delrio di Sassari, affidando il caso al sostituto procuratore Roberto Conte. La ricostruzione di quel giorno nella zona di Acqua Pirara-Montecavallo parla di un masso che si è staccato improvvisamente dal costone colpendo l’uomo, bidello alla scuola media di Giardini Naxos, ferendolo mortalmente alla nuca. Ma sin dai primi momenti la famiglia, moglie e tre figli che vivono a Savoca, nella frazione Contura, è stata assalita dai dubbi, anche dopo gli accertamenti svolti da due professionisti incaricati dai familiari, l’ingegnere Rodolfo Urbani e il medico legale Giovanni Andò: il primo grazie anche alle immagini di Google Earth, ha rilevato come quel masso mancasse dal costone già dal 5 agosto del 2016, ben oltre un anno prima della morte di Giuseppe Mastroeni, e che dunque non possa essere la causa del decesso (né presunti frammenti dello stesso). Inoltre tra il punto in cui manca il masso e quello in cui è stato trovato il corpo vi è una distanza di 200 metri e quindi secondo Urbani è balisticamente impossibile che un masso del genere possa arrivare a colpire nel modo documentato, cioè solo sulla nuca ed a taglio (quindi dall’alto in basso in maniera netta come se fosse un taglio chirurgico) senza lasciare segni evidenti di schiacciamento né sul corpo né sugli arti. Andò ha invece rilevato abbondanti macchie di sangue sul petto e sull’addome del 52enne, non collegabili alla ferita alla nuca, oltre a probabili tracce di polvere da sparo sugli abiti e piccole bruciature sulla stoffa. Tutti aspetti mai chiariti dalle indagini. Nei mesi scorsi è stata quindi depositata un’altra richiesta di riapertura indagini, dopo il rigetto della prima, visti i nuovi elementi, le incongruenze su orari e testimonianze e per chiedere la riesumazione della salma e l’autopsia, che potrebbe dare risposte. Il sostituto procuratore Roberto Conte ha disposto adesso il ritiro degli abiti indossati quel giorno dalla vittima, custoditi finora dalla moglie, per effettuare delle analisi e cercare tracce utili e sono state sentite in Procura alcune persone. Tra queste anche un uomo, residente nella zona jonica, la cui testimonianza resa dieci mesi dopo l’accaduto sembrava aver rimesso tutto in discussione, visto che ha sostenuto che Mastroeni fosse stato ucciso: le sue parole, però, non sono sono state ritenute attendibili nell’agosto 2019 la Procura ha rigettato l’istanza per riaprire il caso perchè “dagli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria emergerebbero contraddizioni e discordanze nelle dichiarazioni del presunto testimone, idonee a destituire di fondamento le propalazioni da quest’ultimo fornite e non si ravvisano elementi ‘significativi’ che giustifichino l’esigenza di nuove investigazioni e con esse la necessità di avanzare richiesta di riapertura delle indagini preliminari”. Adesso questo super testimone è stato nuovamente ascoltato in Procura e ha condotto anche il magistrato sui luoghi per spiegare cosa abbia visto. Ieri lo abbiamo raggiunto per sentire il suo racconto, ma ha preferito non rilasciarci dichiarazioni in merito a quanto avrebbe visto quel giorno, dicendo di temere per la sua incolumità e di non voler riferire nulla per non correre rischi: "Ho fatto il mio dovere parlando con il giudice" si è limitato a dirci. Agli inquirenti avrebbe detto quanto già messo a verbale nel 2018, ossia che mentre si trovava nella vallata di fronte, a circa 5 km in linea d’area, ha assistito con un binocolo ad un forte litigio tra Giuseppe Mastroeni e i tre compagni e di aver visto subito dopo uno dei tre avvicinarsi al 52enne “e senza che lui se ne accorgesse gli ha dato una forte spinta tanto da farlo cadere nel dirupo, ho visto quindi il corpo del Mastroeni alla fine del dirupo, esanime. A questo punto ho visto la persona che ha spinto Mastroeni salire nuovamente verso su, sino ad arrivare all’autovettura del Mastroeni. Quindi spostava l’autovettura di circa otto metri in avanti sempre nella stessa direzione di marcia, a mio avviso come per volere depistare le indagini”. Diverse sono finora anche le discrepanze emerse sugli orari, visto che i compagni di caccia di Mastroeni la sera del 23 dicembre 2017 hanno riferito ai Carabinieri di Mandanici di essere arrivati a Monte Cavallo alle 11, invece la vittima ha telefonato alla moglie alle 7.34 dicendo di essere arrivato già sul posto e che avrebbe lasciato il cellulare in macchina; alle 10.30, poi, la figlia ha provato a contattarlo ma il telefono squillava a vuoto e uno dei compagni dice di averlo sentito suonare mentre stava spostando l’auto ma di non aver risposto. Successivamente, invece, due dei tre cacciatori (uno non è stato mai sentito dai Carabinieri) hanno detto di essere arrivati lì alle 7. La famiglia spera che adesso si faccia davvero luce sulla tragica fine del proprio caro.