Non diffamò il parroco di Forza d'Agrò, Cassazione conferma assoluzione a consigliere
di Andrea Rifatto | 26/09/2023 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 26/09/2023 | CRONACA
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Sotto accusa erano finiti alcuni testi contro il parroco
Divenuta definitiva l’assoluzione del consigliere comunale Emanuele Di Cara di Forza d’Agrò, emessa nel 2020 dalla Corte d’appello di Messina, dall’accusa di diffamazione aggravata ai danni del parroco del paese, don Luciano Zampetti. La Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal legale del sacerdote, l’avvocato Giovanni Cambria, e ha condannato il parroco al pagamento delle spese processuali e di 3mila euro della Cassa delle ammende. In appello il capogruppo di maggioranza, difeso dall’avvocato Salvatore gentile, era stato assolto “perchè il fatto non costituisce reato”, mentre in primo grado nel 2018 condannato a 1.500 euro di multa. I fatti risalgono al 2014, quando Di Cara pubblicò sul sito internet “Il giornale di Forza d’Agrò” un testo riguardante l’operato del sacerdote, dal titolo “L’ex Don Camillo oggi Pretino e il concetto di democrazia”, contenente tra l’altro le frasi “chiediamo scusa al pretino Zampetti perché chiamandolo Don Camillo gli avevamo fatto un complimento (immeritato)… ecco chi era il Don Camillo dei poveri che da oggi sarà il pretino di Forza d’Agrò”. La Corte d’appello ha indicato gli elementi di prova (le deposizioni dei testi Bartolone e Cacopardo) dai quali ha tratto il “convincimento” di coloro che appartenevano alla parte politica di Di Cara che Zampetti, durante le celebrazioni domenicali, perorasse il voto in favore della lista opposta a quella che aveva sostenuto il sindaco uscente e ha ricondotto le espressioni dell'imputato proprio a tale contrapposizione. Dunque per la Suprema Corte “la mancata menzione degli elementi di prova (testi di segno contrario) indicati della difesa non costituisce idonea censura della motivazione” e “la pronuncia assolutoria può fondarsi pure sul dubbio - che la Corte territoriale finisce con l'esprimere - sulla sussistenza della scriminante ovvero sulla ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti che hanno ingenerato la critica”. Per gli ermellini inoltre, “dovendosi avere riguardo segnatamente alle espressioni in imputazione - le frasi formulate dall'imputato non possono definirsi inutilmente umilianti e gravemente infamanti”.