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Omicidio Ravidà ad Alì, a sparare contro l'allevatore non sono stati i fucili sequestrati
di Andrea Rifatto | 02/02/2023 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 02/02/2023 | CRONACA
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Il fuoristrada che conduceve Ravidà
Nessuna delle armi sequestrate nei mesi scorsi è quella utilizzata per il delitto. È quanto emerge nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Riccardo Ravidà, l’allevatore di 34 anni ucciso la sera del 26 luglio dello scorso anno in contrada Ferrera, in territorio di Alì, con tre colpi di fucile sparati mentre era al volante del suo fuoristrada, poi dato alle fiamme con il cadavere all’interno. Gli accertamenti svolti dal Ris dei Carabinieri hanno appurato che non vi è alcuna compatibilità tra l’arma che ha esploso i colpi e i fucili sequestrati durante un blitz tra Fiumedinisi, Alì e altri comuni della zona, compiuto dall’Arma all’inizio di ottobre con interrogatori e perquisizioni, conclusesi con il prelievo di alcuni fucili da caccia consegnati al Ris per gli esami balistici, allo scopo di accertare se qualcuna di quelle armi avesse sparato contro Ravidà. Al momento, però, non vi è collegamento diretto tra i nove indagati, compresi i proprietari delle armi, e l’omicidio. Le indagini della Procura della Repubblica di Messina, condotte dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e dall’aggiunto Giulia Falchi, potrebbero adesso prendere altre direzioni e concentrarsi su nuove piste, a partire dalla ricerca del fucile che potrebbe anche essere stato fatto sparire. Secondo l’ipotesi degli inquirenti il movente del delitto potrebbe essere una vecchia faida familiare che ha spinto qualcuno a sparare per risolvere definitivamente la questione, pianificando l’agguato grazie alla conoscenza di abitudini e spostamenti della vittima, con un’esecuzione premeditata e la distruzione del cadavere e dell’auto per cancellare ogni traccia.