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Omicidio Ravidà, blitz con perquisizioni e interrogatori: a Fiumedinisi c'è chi ha paura
di Andrea Rifatto | 08/10/2022 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 08/10/2022 | CRONACA
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Decine di carabinieri impegnati nelle attività
Era ancora buio l’altra mattina quando i carabinieri sono arrivati in forze a Fiumedinisi, con decine di militari che sapevano già dove andare, chi e cosa cercare. Un blitz che ha attirato le attenzioni dei residenti e che quasi sicuramente è legato alle indagini sull’omicidio di Riccardo Ravidà, l’allevatore di 34 anni ucciso la sera del 26 luglio in contrada Ferrera, in territorio di Alì, con tre colpi di fucile sparati mentre era al volante del suo fuoristrada, poi dato alle fiamme con il cadavere all’interno, diretto al carcere di Gazzi dove stava scontando una pena in regime di semilibertà. Da quel giorno l’attività della Procura e degli investigatori del Comando provinciale dell’Arma prosegue senza sosta e la pista imboccata dagli inquirenti sarebbe quella di un movente legato a contrasti privati per episodi di abigeato, danneggiamenti e dissidi reciproci, che potrebbero aver spinto qualcuno a sparare per risolvere definitivamente la questione. I carabinieri hanno setacciato adesso abitazioni e terreni a Fiumedinisi ma anche in comuni limitrofi, sia sul versante jonico che su quello tirrenico, interrogando decine di persone, molte delle quali appartenenti alla stessa famiglia, condotte a Messina per essere sentite dagli investigatori e poi rientrate nelle rispettive abitazioni. Durante l’operazione i carabinieri avrebbero anche sequestrato alcuni fucili da caccia, probabilmente allo scopo di farli analizzare. Al momento non risultano arresti per il delitto di Ravidà, ma non è da escludere che il cerchio potrebbe stringersi tra non molto. Al giovane allevatore originario di Mandanici, poco prima della sua morte, erano state rubate delle mucche, qualcuna l’aveva poi ritrovata ma la maggior parte no, e pare che avesse già qualche sospetto su chi potesse averlo preso di mira procurandogli quel danno. A Fiumedinisi, dopo il fatto di sangue, c’è chi è impaurito e da allora non mette il naso fuori casa, temendo evidentemente per la propria incolumità, e non è escluso che possa esserci qualche testimone che quella notte abbia notato movimenti sospetti: sembra improbabile, infatti, che nessuno in contrada Ferrera abbia sentito gli spari oppure notato la colonna di fumo che proveniva dalla Toyota Rav 4 di Riccardo Ravidà che andava in fiamme. Ma sono stati poi i carabinieri a ritrovarlo su quella stradina in discesa, dopo che era scattato l’allarme per il mancato rientro in carcere dove stava scontando una condanna definitiva a tre anni per ricettazione e detenzione e porto abusivo di arma clandestina, in seguito all’arresto avvenuto nel gennaio 2020 mentre conduceva una battuta di caccia al cinghiale all’interno dell’area protetta della Riserva Naturale Orientata di Fiumedinisi, con un fucile con matricola abrasa e canne mozzate. Un agguato pianificato da parte di chi conosceva abitudini e spostamenti della vittima, appostato per compiere un’esecuzione premeditata con modalità mafiose, con la distruzione del cadavere e dell’auto per cancellare le tracce, ma probabilmente anche per lanciare un avvertimento. Qualcuno che potrebbe essere già finito nel mirino degli investigatori.