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Omicidio Scipilliti, la Cassazione conferma: ergastoli per gli assassini Ceccio e Caminiti
di Andrea Rifatto | 13/04/2021 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 13/04/2021 | CRONACA
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Ceccio e Caminiti e il punto dove venne trovato il cadavere
La pena adesso è definitiva ed è quella dell’ergastolo. Si è chiusa ieri la vicenda giudiziaria sull’omicidio di Roberto Scipilliti, il vigile del fuoco di Roccalumera ucciso a Savoca il 5 gennaio del 2017 e trovato cadavere il 14 gennaio nelle campagne della frazione Rina. Ieri la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai due imputati, Fabrizio Ceccio e Fortunata Caminiti, confermando la sentenza emessa il 18 luglio del 2019 dalla Corte d’assise d’appello di Messina, che ha inflitto la massima pena come già stabilito in primo grado il 9 gennaio dello stesso anno. Gli ermellini hanno condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali, pari a 3mila euro alla cassa delle ammende, e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in Cassazione dalle parti civili, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d’assise d’appello di Messina nei confronti di due familiari della vittima ammessi al patrocinio a spese dello Stato e per complessivi 4mila 320 euro ad altri tre congiunti. Ceccio è stato difeso dall’avvocato Salvatore Silvestro, Caminiti dall’avvocato Filippo Marchese, mentre ad assistere le parti civili erano gli avvocati Maria Pia D’Arrigo e Giovanni Longo per la compagna di Scipilliti, Diana Eva Manka (genitore della figlia minore) e l’avvocato Antonio Roberti per il padre Francesco, l’altro figlio Francesco e le sorelle Cristina e Grazia. I due condannati dovranno scontare il carcere a vita per omicidio premeditato, occultamento di cadavere e detenzione abusiva di armi e munizioni, oltre ad una sfilza di altri reati quali falsità materiale, ricettazione, sostituzione di persona e falsa attestazione di identità, commessi nei giorni precedenti il delitto. Fabrizio Ceccio, 48 anni di Pagliara e Fortunata Caminiti, 51enne di Mandanici, sono stati quindi riconosciuti anche nel terzo grado di giudizio come i due “amanti diabolici” che in quel freddo pomeriggio di quattro anni fa hanno ucciso il pompiere di 55 anni mentre si trovava in auto con loro tra Santa Teresa di Riva e Savoca, con un colpo di pistola semiautomatica Sig Sauer calibro 9 alla nuca nella regione parieto-occipitale, scaricandone poi il cadavere ai bordi di un canalone di scolo della strada provinciale agricola 234 Scopelliti-Savoca, a monte di Rina. Un omicidio premeditato perchè, come evidenziato in sentenza, i due hanno noleggiato un’auto “nonostante disponessero di propri mezzi” e si sono recati all’appuntamento-trappola davanti al bar Ferrara, sul lungomare di Santa Teresa, “portandosi due pistole e riuscendo a convincere Scipilliti (nella foto a lato) a salire a bordo del mezzo per muovere verso un luogo appartato in aperta campagna, portando con sè un sacco della spazzatura con il quale hanno poi occultato il corpo”. Un delitto il cui movente non è stato chiarito neanche in dibattimento, forse un debito da 1.500 euro della vittima verso Ceccio per l’acquisto di un’autovettura oppure qualcosa di più grosso. Ad incastrare i due assassini, arrestati 20 giorni dopo dai Carabinieri, sono state le immagini di due telecamere installate a Rina che quel giorno hanno inquadrato l’auto utilizzata dalla coppia, una Fiat Panda gialla, le tracce di sangue ritrovate all’interno del veicolo e gli spostamenti delle utenze telefoniche in uso alla coppia. A processo la Caminiti ha tentato di scagionare il compagno addossandosi tutte le responsabilità e sostenendo come quel giorno mentre era con Scipilliti fosse partito accidentalmente un colpo di pistola che l’aveva ucciso. Ricostruzione che è stata smentita dalle risultanze investigative e nel corso del dibattimento.