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Processo De Luca, la Cassazione: "Nessun condizionamento, sospetti infondati sui giudici"
di Andrea Rifatto | 02/11/2017 | CRONACA
di Andrea Rifatto | 02/11/2017 | CRONACA
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La Suprema Corte di Cassazione
“Nessun condizionamento o inquinamento ambientale in grado di incidere sul regolare svolgimento del processo e il prospettato rischio di turbamento della libertà valutativa e decisoria del giudice risulta fondato su timori e sospetti, non su fatti oggettivi gravi, dotati di intrinseca capacità dimostrativa e causale”. Sono le motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile, perché manifestamente infondata, la richiesta di spostamento a Reggio Calabria del processo sulle presunte speculazioni edilizie a Fiumedinisi, in corso di svolgimento al Tribunale di Messina, avanzata da Cateno De Luca, imputato per tentata concussione e abuso d'ufficio in un procedimento che vede coinvolte complessivamente 17 persone. Con l’ordinanza numero 46793 della Sesta Sezione penale, la Suprema Corte, dopo l’udienza del 26 settembre, ha pubblicato il dispositivo dichiarando inammissibile la richiesta e condannando De Luca al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende. Il processo, sospeso a Messina il 9 marzo, riprenderà quindi il 9 novembre nella Città dello Stretto dinanzi alla corte della Seconda Sezione penale, presieduta da Mario Samperi e composta dai giudici Rosa Calabrò e Valeria Curatolo, e andrà rapidamente a sentenza essendo alle battute finali. La ricostruzione di De Luca. Secondo l’ex sindaco di Fiumedinisi le accuse nei suoi confronti sono “del tutto infondate e strumentali, in quanto la denuncia proveniva solo da tre persone, stretti congiunti e parenti della minoranza consiliare del comune di Fiumedinisi (a fronte dei 150 proprietari terrieri che hanno negato di aver subito una qualche pressione con dichiarazioni non verbalizzate per disposizione del Pm Todaro)” e sostiene “di essere vittima di un'aggressione giudiziaria da parte degli organi inquirenti, che, pur avvertiti della manovra ordita dallo Scarcella (Antonio, attuale capogruppo di minoranza consiliare a S. Teresa di Riva, ndc), giudice non togato in servizio presso il Tribunale di Messina, si sarebbero prestati alla stessa, diventando strumento dei suoi nemici politici, determinati a stroncarne l'ascesa”. Ha poi evidenziato di aver presentato una prima denuncia nel giugno 2012 alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nei confronti di inquirenti, requirenti e giudicanti, attualmente pendente presso la Procura di Catanzaro all'esito del trasferimento di uno dei magistrati denunciati presso la Procura di Reggio e di aver presentato una nuova denuncia il 23 dicembre 2016 presso detta Procura “dopo quanto accaduto all'udienza del 7 dicembre 2016, che dimostra il condizionamento esercitato dalla pubblica accusa sulla difesa di un coimputato e sul collegio”. De Luca ha ripercorso nell’istanza di l'iter del procedimento, illustrando “l'ostruzionismo opposto da tutti gli uffici - persino dalla Presidenza del Tribunale di Messina, ai quali si era rivolto per ottenere l'accesso agli atti e poter organizzare la sua difesa -, gli elementi di prova offerti e le prove raccolte, anche di natura documentale, in grado di dimostrare l'infondatezza delle accuse mossegli, specie quella di concussione, proveniente dallo Scarcella, autore invece, di un tentativo di estorsione ai danni del comune e suoi, la cui produzione è risultata vana ed inascoltata sia in fase di udienza preliminare che nel corso del dibattimento”. Ha precisato “di aver ottenuto conferma nel corso del dibattimento dell'esistenza di un'azione sinergica dei suoi avversari politici e dei Pm, in primo luogo, del dottor Barbaro, interessato ad ottenere l'assunzione del figlio nella formazione professionale e per tale ragione interessato a non svolgere indagini sugli esposti da lui presentati sui lavori di metanizzazione, oggetto delle attenzioni del presidente della Regione Raffaele Lombardo, il quale aveva condizionato le dichiarazioni dei dirigenti regionali in suo danno”. Evidenzia “di aver motivo di dubitare dell'imparzialità del collegio, specie perché indotto a ritenere che la dottoressa Curatolo, componente del collegio, nutra risentimento nei suoi confronti a causa delle disavventure del padre, ex direttore della Banca del Sud di Nizza di Sicilia e collega del suocero”. Le motivazioni della Cassazione. I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come la rimessione è un istituto che mira a tutelare la serenità e l'imparzialità dello svolgimento del processo e presuppone non la sussistenza di un giudice persona fisica, della cui imparzialità si dubiti per posizione, condotte o rapporti personali, ma l'accertamento di situazioni esterne o ambientali, che rischiano di turbare in concreto lo svolgimento del processo, incidendo sulla libertà di determinazione dell'organo giudicante ovvero delle parti che vi partecipano, al punto tale da imporre il trasferimento del processo dalla sede inquinata da fenomeni pertubatori ad altra sede. Ne discende che non hanno rilievo i semplici sospetti e dubbi di condizionamento psicologico del giudice e delle persone che partecipano al processo e che la turbativa per la serenità di giudizio non deve avere soltanto carattere "potenziale", ma concreto, diventando un dato effettivamente inquinante del processo, tale da rendere inevitabile l'incidenza sull'imparzialità del giudice. Alla luce di tali principi il collegio ha ritenuto che “la situazione esposta, per quanto articolata, risalente e complessa, non sia riconducibile alla nozione di ‘grave situazione locale’ richiesta dalla legge, in quanto è lo stesso ricorrente a prospettare che la persecuzione giudiziaria sarebbe stata ordita dai suoi avversari politici, artefici di esposti che hanno originato numerosi processi, definiti con provvedimenti di archiviazione e con sentenze di proscioglimento, cui sopravvive il processo in corso. É dunque, lo stesso ricorrente a smentire la tesi dell'inquinamento ambientale e di una Procura assolutamente compatta ed accanita nei suoi confronti per la supposta necessità di compiacere i suoi avversari, dimenticando la doverosità di esperire indagini a fronte di ogni notizia di reato. Anche le accuse di parzialità e di gravi omissioni, se non addirittura di reati, commessi nell'espletamento delle indagini, attengono al processo e legittimano le iniziative già intraprese dal ricorrente, ma sfuggono alla dimensione ambientale di grave contaminazione in grado di incidere sul regolare svolgimento del processo, cosicché la situazione denunciata non rientra, per difetto di latitudine e di effetti destabilizzanti, nella cornice normativa neppure se vi si inserisce anche il collegio giudicante, come fa il ricorrente, in forza di supposizioni, di collegamenti e di una lettura, soggettivamente orientata, di comportamenti, smentiti dagli atti. Il verbale e la trascrizione dell'udienza del 7 dicembre 2016 smentiscono la ricostruzione dei fatti prospettata dal ricorrente, risultando che il rinvio fu richiesto da tutti i difensori, che concordarono sulla necessità di una trattazione congiunta del processo e prestarono il consenso alla sospensione dei termini di prescrizione; altrettanto, lineare risulta la spiegazione fornita dal Presidente del Collegio circa la irritualità di qualsiasi attività processuale in un'udienza rinviata in via preliminare e, proprio la circostanza che sia stato consentito, comunque, al ricorrente di rendere le dichiarazioni spontanee dà conto della fuorviante interpretazione dei fatti proposta dal ricorrente. Analoga prospettiva fonda i motivi di sospetto nutriti nei confronti di un componente del collegio in forza di un supposto risentimento, collegato ai rapporti tra la sua famiglia di origine e quella dei suoceri del ricorrente, risalenti ad oltre trent'anni fa, dei quali il magistrato ha precisato di non avere alcun ricordo”. La dottoressa Curatolo ha infatti redatto una breve nota nella quale precisa di non avere memoria dei rapporti di frequentazione tra la sua famiglia e quella dei suoceri dell'imputato, risalente ad oltre trent'anni fa e ad un periodo in cui aveva solo cinque anni. “Pertanto, gli elementi evidenziati sono inidonei, nei termini prospettati dal ricorrente, ad integrare la situazione di grave compromissione ambientale richiesta dalla legge, risultando frutto di sospetti e meramente supposto l'indiretto e potenziale effetto sulla serenità ed imparzialità di giudizio del collegio, derivante dalla ricostruzione offerta”.