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Al Pacino a Venezia, tra (auto)celebrazione e fan in delirio
di Massimo Marinacci | 17/09/2014 | CULTURA E SPETTACOLI
di Massimo Marinacci | 17/09/2014 | CULTURA E SPETTACOLI
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Il mattatore assoluto della 71ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, da poco conclusasi, è stato senza dubbio Al Pacino, tornato a Venezia a tre anni di distanza dal conferimento del “Leone alla carriera” e la presentazione del film da lui diretto ed interpretato, Wilde Salomé, una personale rilettura dell'opera teatrale di Oscar Wilde. L'attore è giunto al Lido come protagonista principale di due film: in concorso con Manglehorn di David Gordon Green, nei panni di Angelo in cui interpreta un fabbro dal cuore spezzato perseguitato da una vita ordinaria e da un passato fatto di scelte; nell’altro, fuori concorso, The Humbling di Barry Levinson, è Simon Axler, attore teatrale di chiara fama sul viale del tramonto che perde improvvisamente il suo dono, inciampando in un paio di fallimentari rappresentazioni shakespeariane. L’icona globale del teatro shakespeariano e del cinema mondiale è apparso in forma smagliante e molto affabile, sia in conferenza stampa che sul red carpet, con i numerosi fan accorsi per incontrarlo, pronto a farsi scattare foto e firmare autografi instancabilmente ed anche selfie con una dose eccessiva di narcisismo. Al Pacino visto da vicino è il mito che cerca di resistere alla tentazione di mettere in scena se stesso, una leggenda della New Hollywood che sa di andare verso la fine della carriera, ma non ha ancora voglia di farsi da parte. Nelle sue ultime opere va notato che c'è una continua rivisitazione dell'opera shakespeariana e una continua ricerca sperimentale sul teatro di cui egli è assoluto padrone. Si nota proprio in queste due ultime pellicole il suo continuo autocitarsi e autocelebrarsi per la propria bravura recitativa. Infatti, uno dei cliché della sua carriera filmica è quello di aver sempre padroneggiato la scena oscurando e togliendo spazio agli altri attori nei suoi film. Ma se lo può permettere. Al Pacino è il presidente dell'Actors Studio di Los Angeles, la prima scuola di recitazione cinematografica al mondo da cui sono uscite icone assolute come Dustin Hoffman, Jack Nicholson, Robert de Niro, Christopher Walken, Gene Hackman, Willem Defoe e tutti gli altri attori della New Hollywood formatisi sotto la scuola di Lee Strasberg e Peter Bogdanovich. Alla veneranda età di 74 anni recita come se fosse all'inizio e dimostra sempre di essere all'altezza della sua leggenda. Una carriera iniziata negli anni Settanta e ricca di ruoli che l’hanno reso immortale. L'attore siculoamericano (con radici a Corleone) entra direttamente nell'Olimpo della storia del cinema con il ruolo di Michael Corleone nel film diretto da Francis Ford Coppola nel 1972, Il Padrino, ascesa formidabile e nerissima di un'icona cinematografica. Nel 1973, è Serpico di Sidney Lumet , sbirro onesto che tenta di smantellare la corruzione dell'abuso di potere all'interno del dipartimento di New York. Tratto da una storia vera, è cinema d'autore che coniuga impegno e genere. Poi di seguito, in un film sempre di Lumet, Quel pomeriggio di un giorno da cani, interpreta Sonny, il rapinatore improvvisato di una banca che per amore (di un uomo) tenta un colpo dagli effetti disastrosi. Al Pacino dà vita ad un personaggio memorabile, umanissimo e disperato. Nel 1983, entra definitivamente nella storia del cinema con il ruolo super pop, nei panni del narcotrafficante e criminale cubano Tony Montana nel film di Brian de Palma, Scarface, in cui troviamo tutto il suo delirio d'onnipotenza attoriale tanto da essere emulato negativamente sia dai veri gangster-rapper che dai boss della malavita mondiale. Nel 1992, è un veterano di guerra, un cieco un po' eccentrico che guida una Ferrari, nel film di Martin Brest, Scent of woman – Profumo di donna, per lui un esercizio di stile sulle orme del mattatore Gassman. Il film si conclude con un'interminabile arringa finale, un monologo entrato nella storia del cinema che gli frutterà l'unico Oscar della sua stupenda carriera. E non si può non ricordare il film di Michael Mann, Heat – La sfida , in cui giganteggiano nel diretto confronto fra poliziotto e rapinatore, il grande Al Pacino ed l'altro pezzo da novanta Robert de Niro, in una sfida diventata un cult nella storia del cinema moderno. Al Pacino comincia a dirigere ed interpretare opere tratte dal teatro shakespeariano con grande successo, con film importanti come, Riccardo III – un uomo, un re, Il Mercante di Venezia e Wilde Salomé.