Le miniere di allume e vetriolo: le origini di Roccalumera nel volume di Angelo Cascio
di Redazione | 26/06/2021 | CULTURA E SPETTACOLI
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Il professor Angelo Cascio
Anni di ricerche e studi confluiti in un volumetto, stampato in pochissime copie, per ricordare importanti passaggi storici sulle origini del paese. È il lavoro realizzato dal professor Angelo Cascio, docente in pensione che ha prestato servizio all’Istituto tecnico di Furci Siculo, che ha deciso di raccontare le origini delle miniere di allume e vetriolo a Roccalumera, la cui presenza contribuì anche a dare il nome al paese. “Nel 1540 l’imperatore Carlo V donava a don Fernando Gonzaga, suo viceré di Sicilia, la “Lumeriam” (miniera di allume e vetriolo, usati come fissante dei colori sulle stoffe), confinante con il territorio di Fiumedinisi, il villaggio di Mandanici, la terra di Savoca e la spiaggia - ricorda Cascio - e nel 1606 il nobile cavaliere messinese don Giovanni La Rocca comprava da don Fernando Gonzaga junior la miniera con tutto l’amplissimo territorio circostante, che confinava con Santa Lucia del Mela”. Da qui ebbe origine il primo nucleo del paese, visto che Roccalumera divenne nel 1610 una baronia. Nel 1613 La Rocca sposò Isabella Lanza Abbate, vedova del barone di Fiumedinisi Antonino Romano Colonna Statella, che gli portò in dote il bosco di San Michele: La Rocca, allora, riunì sotto la sua giurisdizione il territorio del bosco di San Michele con quello delle miniere che già possedeva, formando il primo nucleo denominato “Roccalumera”. Tale nucleo, corrispondente all'attuale Allume, può dunque dirsi il centro storico del paese. Cascio ricorda nel suo volumetto come le miniere di allume, nella mente del re, rappresentavano un dono di grande valore e sicuramente gradito. L’allume, nei secoli passati, era molto commerciato, per il suo largo uso nell’industria dei coloranti, nella concia delle pelli e in medicina, come emostatico ed astringente e poi in metallurgia, come fondente. La gente del luogo, fino a non molto tempo fa, usava anche allo stato grezzo l’allume per guarire le piaghe degli asini e dei muli, causate loro dal continuo peso del basto sulla groppa. Le miniere di allume diedero il nome non solo alla contrada in cui si trovavano: contrada “di la Lomera”, della “Alomera” – così si legge nei documenti del ‘500 -, ma anche a buona parte del territorio circostante.Nei documenti del ‘600 si scrive anche di contrada “dila Alumera” e di territorio della Lumera, di marina di Lumera, di fiume della Lumera. Con la parola “lumera”, in quei tempi antichi, si intendeva individuare anche un’officina in cui si fabbricava l’allumina (l’allume).