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di Carmelo Antonio Cutrufello | 28/05/2013 | ECONOMIA
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L’Italia, per ciò che concerne il settore agricolo, è senza dubbio un paese dalle enormi potenzialità inespresse. Ciò avviene per la presenza di fattori frenanti che determinano una inevitabile riduzione della capacità di competere sul piano commerciale con i competitor internazionali. A poco sono valsi negli anni i contributi, pur ingenti, di cui hanno goduto le nostre imprese. Uno dei fattori di maggiore criticità, a nostro modo di vedere, è la presenza di una struttura produttiva frammentata e polverizzata in una miriade di piccole e piccolissime imprese, con alcune eccezioni nazionali quali Ferrero, Parmalat ed i consorzi di produttori come la Melinda o il Crudo di Parma. Come in altri settori economici di rilievo, anche in agricoltura, le nostre imprese soffrono di “nanismo”: l’estensione media delle imprese italiane è di 7 ettari, quella francese di 50, mentre quella tedesca è addirittura di 100. D’altro canto è vero che un punto di forza del nostro sistema è la misurazione di un valore aggiunto medio per ettaro molto elevato e ben superiore a quello dei nostri concorrenti diretti che si traduce in una redditività maggiore a parità di estensione. Un archetipo di questo sistema d’impresa è rappresentato del tessuto imprenditoriale agricolo siciliano che coinvolge ben il 46% dei terreni coltivati in Italia suddivisi in oltre 292mila imprese. Negli ultimi 10 anni, in Sicilia, si è osservato un trend ben delineato poiché è diminuito del 37,1% il numero delle aziende agricole isolane, passate da 349 mila 134 a 219 mila 581, mentre è cresciuta la loro dimensione media. Nel dettaglio, le aziende con superficie maggiore di 50 ettari sono passate dallo 0,9% al 2,1% del totale, di contro sono diminuite le aziende con superficie sotto i 10 ettari, passate dal 93 per cento all'86,7 per cento. Gli effetti del “nanismo” delle nostre imprese sono ben conosciuti e si traducono in una scarsa capacità di penetrazione dei mercati (difficoltà a rifornire i grandi clienti), limitato budget per investimenti (ammodernamento delle strutture e delle attrezzature, scarsa pubblicità sui media nazionali ed internazionali), mancato raggiungimento della dimensione economica ottimale (basso ROI), limitati contributi alle strutture associative, ridotto numero di dipendenti stabilmente impiegati in azienda. Il credito d’imposta per la crescita dimensionale delle imprese agricole Per combattere questo fenomeno e favorire l’aumento dell’estensione media delle imprese italiane potrebbe essere utile favorire lo strumento del credito d’imposta per l’acquisto di terreni agricoli. Si tratterebbe di una misura da affiancare alle già presenti agevolazioni per l’acquisto dei terreni e per l’attività di impresa dei giovani imprenditori. L’importo del contributo concedibile alle imprese potrebbe essere quello previsto dal regime “de minimis”, ovvero fino a 200mila euro nell’arco del triennio con possibilità di reiterazione una volta finito il beneficio per l’impresa, e pari al minor valore tra la valutazione dei terreni acquisiti risultante dai dati dell’OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio) e quello riportato dal rogito. L’utilizzo dello strumento del credito d’imposta andrebbe favorito rispetto al mero contributo in conto capitale poiché presenta un beneficio sistemico non indifferente: scoraggia il sommerso perché può essere applicato solo da chi realizza fatturato in chiaro. Questo, nel lungo periodo aiuterà il tessuto sociale ed imprenditoriale educando alla legalità ed al rispetto delle regole e legando i contributi ad una totale trasparenza degli atti amministrativi dell’impresa.