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Stati Generali della Cultura: come far ripartire l'Italia
di Carmelo Cutrufello | 22/11/2013 | ECONOMIA
di Carmelo Cutrufello | 22/11/2013 | ECONOMIA
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L'intervento di Roberto Napoletano, direttore Sole 24 Ore
Si è svolta giovedì 21 novembre 2013 a Milano la conferenza degli Stati Generali della Cultura, tenuta a battesimo da Il Sole 24ore. A seguito del grande consenso riscosso dal Manifesto della Cultura del 2012 e della prima edizione dell'evento Stati Generali della Cultura, la 2^ edizione è stata organizzata in collaborazione con Fondazione Roma. Vi hanno preso parte importanti esponenti del mondo della cultura italiana. A moderare i lavori il direttore della testata Roberto Napoletano. L'art. 9 della Costituzione Italiana come stella polare: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. L’introduzione è stata affidata ad Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Roma, il quale dopo aver ricordato lo stato dell’arte ed aver criticato la scarsità di impegno del settore pubblico nel campo del finanziamento della cultura ha concluso così il suo discorso: “La Roma del '400 era una città di appena 12.000 persone, malate e afflitte dal banditismo. E venne un grande Papa, Martino V, che chiamò a sé i più grandi artisti del suo tempo e Roma risorse. Possiamo farcela.” Secondo Emanuele, insieme alla cultura, occorre puntare sull’Agricoltura che ha un moltiplicatore keynesiano pari a 1,7 volte: ovvero per ogni euro di prodotti agricoli commercializzati, il sistema genera 1,7 € in servizi accessori come ristorazione, agriturismo, turismo rurale, etc. per un totale di 260 miliardi di euro l’anno. L'Italia non sa spendere i contributi comunitari Marco Magnani, professore alla Harward Kennedy School, è entrato nel merito dei problemi strutturali del Paese: l’incapacità di spendere i contributi comunitari e di fare sistema. Nel suo intervento Magnani ha ricordato che all’estero c’è grande interesse per la cultura italiana, che noi consideriamo la cultura un motore economico, il “nostro petrolio”, ma che in realtà nei paesi del Golfo in tanti stanno investendo su infrastrutture culturali, come le università, per poter continuare a crescere quando il petrolio, quello vero, finirà. La cultura, dice una massima, non si mangia… Ma la cultura, invece, dà da mangiare a molte persone! La cultura, con il suo indotto, crea ricchezza: nel turismo, con una migliore accessibilità (i musei sono vuoti, nessun museo italiano tra i primi 20 al mondo per visite ), con le nuove tecnologie (app, tecnologie di indagine non invasiva, monetizzazione della cultura), i mestieri (manager dei territorio, curatori di mostre, etc.). La tutela dell’ambiente è tutela della cultura. Magnani ha descritto poi cos’è per lui la Cultura: Cultura materiale (moda, enogastronomia), Contenuti (film, media), Patrimonio (BB.CC). Occorre parlare di cultura & creatività: il Pil culturale è circa il 7% del Pil complessivo, con il 6% occupati nel settore culturale ed esportazioni in crescita (l’Italia è il 5° esportatore mondiale di prodotti culturali). Per il settore cultura il moltiplicatore keynesiano è compreso tra 2 e 6: per ogni euro investito in cultura si creano dai 2 ai 6 euro di Pil. Magnani ha spiegato con un esempio quali sarebbero gli effetti di un investimento pubblico massiccio nel settore culturale: ogni 50 cent di finanziamento a fondo perduto statale al 50% generano un investimento diretto di altri 50 cent. Con un moltiplicatore di 4 (media tra 2 e 6) si ottiene un introito per l’erario (tra Iva e altre aliquote) di 2! Per ogni 50 centesimi investiti dallo Stato, quest’ultimo incasserebbe 2 euro con un saldo netto POSITIVO di 1,5! Se la filiera venisse gestita bene si genererebbe reddito per tutti. In caso contrario verrebbe fuori un circolo vizioso. Non ci sono moltiplicatori che tengano: diviene tutto sperpero di denaro pubblico. Si è passati poi al tema aziendale. Il break-even dell’impresa culturale è a medio termine: nel breve non riesce a sostenere i costi, ma nel lungo rende tantissimo. Come finanziare tali attività: contributi statali a fondo perduto o modello Usa basato sulle donazioni. Esternalità positive della cultura: soft power e crescita del capitale umano Il Soft power è la capacità di influenzare culturalmente altri Stati (esempio: cinema e musica Usa). Questo genera ricchezza nelle industrie tradizionali: desing, travelling, moda, arredo, industria italiana divengono cool di riflesso e sono acquistate all’estero perché made in Italy. Per quanto riguarda il capitale umano, si creano figure professionali eccezionali, uniche ed inimitabili nel breve e medio periodo. La ricerca italiana ha un ruolo importante nel mondo E’ stato poi il turno di Elena Cattaneo, una scienziata italiana orgogliosa di essere italiana, neo senatrice a vita, che nel suo intervento ha rivendicato per la scienza italiana un ruolo importante nel mondo, sancito dalla storia antica, moderna e contemporanea. “Se andiamo oltre alla scuola delle invenzioni, alla scuola delle scoperte, troveremo il panorama delle scienze applicate all’esplorazione dell’ignoto”. La Cattaneo ha citato nomi “enormi”: Galileo, l’Accademia dei Lincei, Fermi e la fisica italiana, l’Accademia della Chimica, la ricerca genetica, le Neuroscienze con Rita Levi Montalcini. La scienza italiana è frontiera, dice. Un intervento commovente per l’orgoglio patriottico e per la fede cieca nelle capacità scientifiche dell’uomo e nella determinazione assoluta nella scansione dell’ignoto. “Ti viene voglia di scappare, ma si deve avere il coraggio di restare”. Cinque minuti di applausi alla fine del discorso. In chiusura l'intervento del premier Enrico Letta Dopo Bertelli, l’intervento del Presidente de Consiglio Enrico Letta, intervistato da Roberto Napoletano. Si parte dalla lirica: i teatri che funzionano perché devono fare un bando pubblico per avere una sponsorizzazione? Seconda domanda: perché non ci sono incentivi fiscali alle attività culturali? Letta risponde mettendo sul piatto quanto fatto con il decreto Valore Cultura che Massimo Bray, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, ha già presentato. Tra gli interventi programmati sono previsti lo stanziamento di fondi europei per rilanciare i musei del sud Italia, aiuti per le fondazioni liriche, tirocini per 500 giovani del Sud e nuove assunzioni per archeologi, archivisti, bibliotecari e altre figure che lavoreranno presso i musei e per le attività connesse a Pompei. Inoltre, grazie ad Expo 2015, saranno messe in campo numerosissime iniziative culturali. Nuova idea: eleggere ogni anno una città capitale della cultura italiana mettendo le città in concorrenza tra loro. Interessante.
Giuseppe De Rita, sociologo italiano, ha elogiato l’economia mista: ovvero del tentare la strada del connubio tra Stato e privato. De Rita parla di “Banalità del continuando”… tutto diventa banale e non si fa più programmazione. Si è scagliato contro il potere delle categorie (giornalisti, sovrintendenti, etc.). “La politica culturale deve attraversare tutto il territorio orizzontalmente, deve rompere gli interessi corporativi. Solo il rapporto con il territorio dà il polso del sentimento della comunità. Se si hanno rapporti solo con gli studiosi e con i dipendenti dei musei non faremo mai politica culturale: quello che vive davvero nel mondo della cultura italiana è ciò che è goduto da tutti come l’enogastronomia”.
Patrizio Bertelli, patron di Prada, è salito sul palco per rappresentare il settore Moda. Bertelli è partito da lontano, dalla tradizione della Roma antica, per evidenziare lo stato confusionale delle classe politica italiana. Nel corso del suo intervento non ha dato giudizi, ma ha esposto solo fatti il cui giudizio è lasciato al buon senso dell’ascoltatore. Ha iniziato la narrazione dicendo che il Paese deve investire nei settori della cultura e della ricerca, senza questi investimenti non si andrà mai da nessuna parte. Anche il made in Italy fa parte della cultura italiana perché made in Italy è ciò che nasce dalla cultura italiana, non solo sul territorio italiano. Primo fatto: investiamo poco in cultura e ricerca, solo 137 miliardi contro i 250 miliardi dell’Inghilterra. Secondo fatto: il turismo vale il 9% del PIL ma il saldo della spesa dei turisti in Italia è – 10 miliardi di euro rispetto a quanto noi spendiamo fuori. I turisti in Italia spendono troppo poco. Terzo fatto: il traffico turistico è bassissimo. Tutto il centro nord arriva a 78 milioni di passeggeri l’anno. Solo Londra ne fa 120. Ci sono pochissimi voli diretti da Milano e Roma verso le grandi metropoli straniere. Gli stranieri per arrivare in Italia devono passare da Londra, Parigi o Francoforte. Le nostre città d’arte sono poco frequentate rispetto a quelle europee, perché il traffico aereo non arriva direttamente nei nostri aeroporti. Quarto fatto: i musei nel mondo attraggono di più. Il primo museo italiano sono gli Uffizi di Firenze al 21° posto. Conclusione: in Italia il sistema è completamente disorganizzato e non può produrre nulla di buono. Soluzione: lo Stato deve emanare norme chiare e coerenti con le finalità perseguite, la politica deve farsi guidare dai tecnici esperti e proporre soluzioni efficaci. Bertelli contro tutti: “Per me la crisi non esiste, è un falso ideologico. Ce la siamo inventata per giustificare la nostra incapacità: non vogliamo accettare che il mondo è cambiato e che adesso siamo dentro un sistema globale. Il confronto con il mondo va accettato e vanno trovate le chiavi di lettura di questo tempo”. Occorre trovare le soluzioni. Risposte di sistema a problemi sistemici.