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Canzoni e cabaret, l'ironia dissacrante di Brunori Sas - FOTO e VIDEO
di Gianluca Santisi/Giuseppe Picciotto (foto) | 03/04/2015 | MUSICA
di Gianluca Santisi/Giuseppe Picciotto (foto) | 03/04/2015 | MUSICA
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Dritti al dunque. Quanti artisti oggi in Italia possono permettersi di alternare nello stesso spettacolo belle canzoni a monologhi azzeccatissimi? Soltanto uno. Si chiama Dario Brunori, ha 37 anni e viene da un piccolo comune calabrese. Dopo tre album e una serie infinita di concerti, Brunori Sas (moniker adottato sin dall'esordio del 2009, in omaggio all'azienda di famiglia) si è voluto concedere il lusso di una tournée teatrale. Ma troppo facile sarebbe stato portare in scena soltanto i suoi brani, cucendogli addosso il vestito adatto alla circostanza. No, è voluto andare oltre. Ha scritto uno spettacolo perfettamente in bilico tra cabaret e musica, in cui le canzoni si alternano a divertentissimi e pungenti monologhi. Ed è proprio qui che Brunori Sas ha stupito tutti, reggendo il palco come fosse un attore navigato, con leggerezza, freschezza e una presenza scenica davvero sorprendente se si considera l'esigua esperienza maturata in questo campo: una decina di date appena. Mercoledì scorso il suo “Brunori Srl, una società a responsabilità limitata” ha fatto tappa al Metropolitan di Catania (produzione Show Biz in collaborazione con MercatiGenerali), riscuotendo ancora una volta grande successo. Raccontare di se stesso è il grimaldello che Brunori ha usato per scardinare vizi e difetti della nostra società, un modo per alzare il tiro dalla sua esperienza privata e parlare di noi tutti, di quello che eravamo venti o trent'anni fa e, soprattutto, di quello che siamo diventati. Senza mai scadere in sermoni moralistici e con uno sguardo sempre lucidissimo.
La voce fuori campo che ad inizio spettacolo invita il pubblico a controllare di avere i telefonini accesi e mettere la suoneria al massimo, a scattare foto sfocate e fare riprese con l'audio distorto, non lascia spazio a dubbi su quello che sarà il tenore della serata. Ed eccolo sul palco Brunori, un faro addosso e il resto dell'orchestra che rimane sempre sullo sfondo. Si comincia con un monologo sulla giornata perfetta che ognuno di noi vorrebbe avere, quella in cui ti ritrovi “persino l'iPhone sempre con la batteria al massimo”, che si conclude con una bella serata a teatro, a sentire canzoni d'amore e monologhi intelligenti. “Peccato – chiosa - che non sarà questo il caso”. Inizia il primo “giro” di canzoni. Nell'ordine arrivano Fra milioni di stelle, Lei, lui, Firenze e Una domenica notte, tutte pescate dal suo secondo album. La struttura sarà sempre questa: monologo e poi blocco di tre brani, scelti accuratamente come contraltare emotivo al racconto. Nel buio della sala, di tanto in tanto, si sente poi una sorta di cantilena (“E la mamma, e il babbo, e non c'è, e perché, e Nino, e Sandro, e Dario, e dov'è, e perché, e non c'è...”), il cui significato sarà svelato nel momento centrale dello spettacolo: è la filastrocca che Dario da bambino canticchiava prima di addormentarsi (“Il mio primo brano depositato alla Siae”), sbattendo a tempo la testa sul cuscino. Finché non arrivava il padre e, urlando, lo zittiva. “Chissà perché – racconta – quel bestemmione mi tranquillizzava e mi addormentavo di colpo”. Ed è proprio nel ricordo del padre scomparso che si raggiunge il climax, le risate si spengono e la gola si stringe. “Vorrei abbracciarlo per l'ultima volta e dirgli che mi dispiace per tutte le volte che non l'ho fatto dormire. Ma è tardi, troppo tardi, anche per sentirsi in colpa”. Segue Bruno mio dove sei?, dedicata proprio al papà, non a caso l'unico brano eseguito con la sola chitarra, senza la piccola orchestra (bravi tutti) che invece lo accompagnerà sugli altri pezzi, arricchendoli con sontuosi e inediti arrangiamenti. Su tutti segnaliamo la rilettura di Pornoromanzo, che ci pare anche interessante per immaginare che tipo di direzione potrebbe prendere in futuro la produzione del Nostro. Musicalmente, echi retrò si fondono ad un incedere baustelliano, mentre il testo, pruriginoso e scuro, è piuttosto distante da quanto sino ad ora scritto da Brunori, che ha puntato spesso, sopratutto nei primi due album, sul proprio passato. In tutto saranno quindici i brani eseguiti e tra questi non mancheranno i recenti successi, come Kurt Cobain e Arrivederci tristezza, posti quasi in chiusura. I fans si aspettano anche uno dei brani più amati e popolari, Guardia '82, ma con un colpo di genio Brunori appare sul palco con un teschio in mano e si limita a declamare, volutamente fuori contesto, solo i primi versi della canzone. E' l'ennesimo sberleffo di un'artista che non fa sconti a nessuno e travolge tutto e tutti con la forza dell'ironia. Prendendo di mira per primo se stesso, la sua pancia (“Ma tanto che me ne frega? C'è photoshop, con due colpi di mouse sistemo tutto”) e il suo accento calabrese (“Subito dopo la prova generale il mio maestro di dizione si è suicidato. Ciao Eridanio, insegna agli angeli a dire “zucchero” perché con me non ci sei riuscito!”).
Si va avanti sino alla fine, tra tante risate e brani intensi, e quando la band attacca Mambo reazionario, con il suo passo travolgente, diventa impossibile rimanere inchiodati alle poltrone. Tutti in piedi per l'ovazione finale.
Guarda il video di "Lei, lui, Firenze"