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Messina città metropolitana: terremoto per la riviera jonica?
di Mario Puglisi | 20/09/2013 | OPINIONI
di Mario Puglisi | 20/09/2013 | OPINIONI
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La scorsa settimana la Giunta guidata dal governatore Rosario Crocetta ha approvato il disegno di legge relativo alla “Istituzione e ordinamento delle Città metropolitane di Catania, Messina e Palermo”. Si tratta di una riforma complessiva del sistema delle autonomie locali siciliane attraverso una generale riorganizzazione delle competenze amministrative tra i vari livelli di governo. In particolare, si prevede l’istituzione di tre città metropolitane: Catania, Messina e Palermo, che andrebbero ad affiancarsi ai liberi consorzi tra Comuni. L’intento è anche quello di garantire la continuità delle funzioni precedentemente svolte dalla soppresse Province attribuendo, altresì, a questi nuovi organismi di area vasta alcune materie di competenza regionale. Nell’intento del legislatore la creazione della città metropolitana potrà contribuire ad una drastica riduzione degli enti strumentali intermedi, consorzi e società nonché uno snellimento dell’amministrazione periferica della Regione. E’ innegabile che la spinta verso un accentramento delle funzioni in capo ad enti di dimensioni maggiori è derivata anche, o forse soprattutto, dalla impossibilità di reperire le risorse necessarie per garantire i servizi essenziali per le Comunità locali. I drastici tagli al Fondo regionale per le autonomie locali e i provvedimenti di spending review del governo nazionale hanno finito per incidere pesantemente sulla gestione anche solo ordinaria, specialmente dei piccoli Comuni. Ulteriore elemento ispiratore della riforma è sicuramente il bisogno di operare un deciso intervento di riduzione della spesa pubblica, razionalizzando i servizi pubblici locali, creando economie di scala e colpendo sprechi ed inefficienze del sistema attuale. Al tempo stesso, l’istituzione della città metropolitana si prefigge lo scopo di attrarre nuove risorse ed investimenti, già previsti dalla normativa regionale, nazionale ed europea. Sfruttare, quindi, la maggiore dimensione demografica e territoriale quale volano di sviluppo per l’intera area che acquisterebbe maggiore competitività e potere contrattuale.
Cosa cambia in provincia di Messina
Per quanto concerne la Provincia di Messina, il disegno di legge prevede che ben 13 Comuni (Alì, Alì Terme, Fiumedinisi, Furci Siculo, Itala, Mandanici, Nizza di Sicilia, Pagliara, Roccalumera, Rometta, Saponara, Scaletta Zanclea e Villafranca Tirrena), siano “accorpati” al territorio urbano del Comune di Messina andando così a costituire un’unica grande città metropolitana, con un rapporto privilegiato con la “dirimpettaia” città metropolitana di Reggio Calabria. Chiaramente l’ipotesi di soppressione di questi Comuni ha già sollevato un vespaio di polemiche con i primi cittadini sul piede di guerra.
A tal proposito, nei giorni scorsi si è tenuto a Fiumedinisi un incontro degli amministratori locali con l’assessore regionale alle Autonomie locali Patrizia Valenti e il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone. In quella sede è emersa con forza l’esigenza di un percorso di riforma il più possibile condiviso con le amministrazioni locali e specialmente con le popolazioni direttamente interessate. I sindaci presenti hanno chiaramente espresso numerose perplessità sull’intero impianto normativo non mancando di sottolineare la presenza nel testo attuale di evidenti lacune ed incongruenze. In tale direzione, il Comune di Mandanici ha diffuso una mozione, approvata all’unanimità dal Consiglio comunale, con la quale vengono accesi i riflettori sulle criticità dell’istituenda città metropolitana.
In questa sede, al fine di favorire un più ampio dibattito pubblico sui risvolti politici, economici e sociali della riforma in esame, ritengo utile condividere con i lettori di “Sikily News” alcune prime riflessioni frutto dell’esperienza quotidiana di amministratore locale e di un proficuo confronto con gli operatori del settore, nella speranza che possano contribuire a sollecitare nuovi e più qualificati interventi. Per una più agevole lettura ho opportunamente diviso la mia provvisoria analisi secondo alcune tematiche cardine che saranno sviluppate in più interventi.
UNA RIFORMA CONDIVISA?
Il disegno di legge in esame, pur non ancora ufficialmente pubblicato sul sito istituzionale della Regione Siciliana, ha avuto una parziale diffusione a mezzo stampa, nella quale, ad essere maggiormente enfatizzati sono stati i tratti più “rivoluzionari” del testo, tra cui appunto la soppressione di oltre 50 Comuni in tutta la Sicilia e la nascita di tre grandi città metropolitane, Catania, Messina e Palermo, definite da alcuni come vere e proprie micro-regioni. Ovviamente, il disegno di legge prima di approdare in Giunta è stato oggetto di una serie di tavoli tecnici ai quali hanno partecipato tecnici e funzionari regionali, docenti universitari e gli organismi rappresentativi delle autonomie locali. Un primo rilievo va quindi sollevato in merito alla metodologia di concertazione adottata dalla Regione. A quei tavoli tecnici sarebbe stato opportuno invitare, quantomeno nella fase immediatamente successiva alla perimetrazione delle città metropolitane, tutti i sindaci dei Comuni che si intendeva “inglobare”. Al tempo stesso, un auspicabile e preventivo dibattito con le popolazioni interessate, anche solo per illustrare i contenuti della riforma, avrebbe evitato prevedibili allarmismi e preconcetti.
La sensazione degli amministratori e dei cittadini è stata unanime: si tratta dell’ennesima riforma “calata dall’alto”. D’altronde, non bisogna dimenticare che negli ultimi anni gli interventi normativi riguardanti gli enti locali si sono susseguiti, a livello regionale e nazionale, secondo un disegno spesso confuso ed a tratti quasi schizofrenico. Altro elemento da considerare è che, in molte circostanze, ci si è affidati esclusivamente a valutazioni di natura tecnica che il più delle volte hanno finito per scontarsi con le reali esigenze del territorio. Esempio lampante, che ci riguarda da vicino, è la modalità di perimetrazione della fascia ionica della nascente città metropolitana, che, come abbiamo detto, include i Comuni da Furci Siculo a Scaletta Zanclea.
Tale localizzazione sarebbe il frutto di una serie di studi scientifici e simulazioni matematiche, a dire il vero non ancora resi pubblici, che, combinando i fattori produttivi del territorio con i flussi di pendolarismo hanno individuato quei singoli Comuni “caratterizzati da contiguità territoriale e integrazione funzionale” con il Comune di Messina. In particolare, la fascia di territorio tra Furci Siculo e Scaletta Zanclea sarebbe caratterizzata da “un elevato grado di integrazione (con il territorio urbano di Messina) in ordine ai servizi essenziali, all’attività economica, al sistema dei trasporti, ai caratteri ambientali ed ecologici e alle relazioni sociali e culturali”.
Ciò che sinceramente appare poco comprensibile è che questa “integrazione” si interrompa bruscamente al confine tra Furci Siculo e Santa Teresa di Riva. Tali studi sembrano non cogliere la fisionomia del nostro territorio e la sua peculiare caratterizzazione, in termini storici, sociali, antropologici ma anche e soprattutto economici. La “riviera ionica messinese” non costituisce solamente una esemplificazione terminologica e geografica ma rappresenta un unicum sotto vari profili, non da ultimo dal punto di vista geo-morfologico. Si tratta di un territorio in cui i fattori di rischio ma anche i punti di forza presentano un certo livello di omogenità tra Comuni diversi. Basti pensare, per un verso, alle comuni criticità idrogeologiche o alla carenza infrastrutturale, e, per altro verso, alle comuni potenzialità di sviluppo a livello paesaggistico, culturale e monumentale. Una “spartizione” così netta, come quella prevista dal disegno di legge, solleva quindi più di un interrogativo sulla attendibilità e coerenza di tali studi.
A voler essere maliziosi si potrebbero rievocare gli studi tecnici che hanno determinato, nel settore dei rifiuti, la perimetrazione degli attuali ambiti territoriali ottimali (Ato). Anche in quel caso, attraverso una serie infinita di indici e parametri, ci era stato assicurato che la gestione sovra comunale avrebbe garantito una maggiore efficienza del servizio e una considerevole riduzione dei costi. Le cronache quotidiane ci hanno invece consegnato, purtroppo, un quadro reale sostanzialmente difforme rispetto alle previsioni di quei tecnici.
Gli Ato rifiuti hanno infatti determinato un peggioramento degli standard qualitativi, un incremento dei costi con conseguente indebitamento dei Comuni e una riduzione degli obiettivi di raccolta differenziata. Sicuramente qualcosa non ha funzionato. Forse sarebbe bastato confrontarsi preventivamente con le amministrazioni locali e con i cittadini-utenti, per verificare come la gestione diretta a livello comunale, quantomeno per lo spazzamento e la raccolta, fosse più efficiente rispetto ad una gestione sovra comunale.
Nel caso della città metropolitana, la partecipazione ai tavoli concertativi degli amministratori del nostro territorio avrebbe costituito sicuramente un valore aggiunto. Il testo approvato in giunta sarebbe stato arricchito dai contributi di chi quotidianamente vive e amministra il territorio. Lo stesso territorio che i tecnici, spesso, conoscono solo sulle mappe catastali o sulle tabelle Istat. Infine, poco comprensibile e dalla dubbia legittimità procedimentale risulta essere la previsione, contenuta nella relazione introduttiva al DDL, secondo cui il testo “essendo di natura ordinamentale e non comportando nuove o maggiori spese o minori entrate, non necessita di essere accompagnato dalla scheda di valutazione economico-finanziaria”. La scheda di valutazione economico-finanziaria avrebbe invece potuto dare contezza degli eventuali risparmi di scala ottenibili con la istituzione delle città metropolitane e la conseguente soppressione dei Comuni. Al tempo stesso, la medesima relazione tecnica avrebbe potuto fare chiarezza sui rapporti finanziari e sulla ripartizione della massa debitoria/creditoria dei vari enti. Al di là dell’aspetto tecnico, restano forti perplessità sul metodo con la quale la riforma è stata ideata e “presentata” ai cittadini, specialmente se l’intenzione è quella, già annunciata, di arrivare all’approvazione definitiva entro l’anno. I tempi sono piuttosto contingentati. È pur vero che vi sarà una fase transitoria in cui i Consigli comunali e gli elettori saranno chiamati a pronunciarsi ma di certo non si è partiti con il piede giusto. La percezione di chi scrive è gran parte delle decisioni siano state già concordate altrove. Lo “smembramento” della riviera ionica in due tronconi mi appare in tal senso frutto più di una precisa strategia politica che di una reale valutazione scientifica, altrimenti incomprensibile.