Articoli correlati
Alessandra Maccarrone: "Ecco perché ho detto addio all'Effe Volley"
di Andrea Rifatto | 08/01/2015 | SPORT
di Andrea Rifatto | 08/01/2015 | SPORT
4969 Lettori unici | Commenti 1
“La società sportiva Asd Santa Teresa Volley prende atto con sincero rammarico della volontà del proprio capitano Alessandra Maccarrone di non voler continuare l'attività agonistica nella stagione in corso”. Con queste parole, contenute in un comunicato stampa diramato dalla società l’otto dicembre scorso, abbiamo appreso la notizia che la storica giocatrice del sodalizio santateresino ha detto addio alla squadra a stagione in corso. Al di là delle note formali, ci siamo posti un interrogativo che non trovava risposta: perché nel momento migliore della squadra, almeno a livello di risultati, il capitano fa questa scelta che lascia tutti stupiti? Anche perché Alessandra Maccarrone non è un'atleta qualunque, è un simbolo per il volley dell'intera riviera jonica. Per capirne di più l'abbiamo incontrata nella sua Furci Siculo. Trenta minuti di conversazione che hanno chiarito molti aspetti della vicenda. Alessandra e la pallavolo: quando sboccia questo amore? Vent’anni in cui avrai sicuramente vissuto momenti esaltanti ma anche qualche delusione Come sono stati i rapporti con l’ex tecnico Caristi? Ti sei chiesta perché è andato via? Arriviamo all’estate 2014. Nuovo allenatore, nuovi dirigenti, che idea ti sei fatta in quel momento? Tu invece nasci schiacciatrice, la tua zona è sempre stata l’attacco Inizia il campionato. Scendi in campo da libero ma non ti senti a tuo agio? Nell’importante sfida in casa con la Pallavolo Sicilia, il 7 dicembre, la tua assenza è stato un segnale forte É mancata anche la sintonia con le tue compagne e con la società? Che reazioni hai notato alla notizia del tuo addio? E i tifosi? Ti hanno cercata, hanno provato a capire? Adesso come stai? Hai seguito le ultime vicende sportive dell’Effe? Potranno fare il salto in B1 secondo te? Progetti per il futuro? Sentiremo ancora parlare di Alessandra Maccarrone nel mondo del volley?
“Ho iniziato a giocare a 11 anni, seguendo le orme di mia sorella Cristina, già sedicenne, calcando da subito il sintetico di S. Teresa di Riva. Giovanili, campionati under, Prima Divisione, Serie D, C, fino alla promozione in B2. Vent’anni di pallavolo in cui ho assistito a tanti cambiamenti, soprattutto a livello societario, in quella che oggi è il Santa Teresa Volley. L’unica figura che ricordo sempre presente sulla scena è stato il presidente Santo Carnabuci (da quest'anno presidente onorario, NdC). La palestra di Bucalo è stata la mia seconda casa: il 13 marzo sarebbero stati vent’anni esatti vissuti tra quelle mura”.
“Il momento più bello della mia carriera è stato sicuramente la promozione in B2 arrivata al termine della stagione 2012/2013 con in panchina Andrea Caristi, dopo la finale persa l’anno prima a Barcellona, in cui ci giocammo il passaggio dalla C alla serie cadetta. Quello è sicuramente il ricordo più brutto: delusione e pianti che, però, l’anno dopo sono diventati solo un amaro ricordo”.
“Andrea Caristi per me è un mito, mi sono trovata benissimo con lui: spesso lo criticano come persona, ma a livello tecnico è molto preparato, vanta l’esperienza di secondo allenatore in serie A, in zona non esistono allenatori del suo calibro. Dice le cose in faccia, non si tiene nulla dentro. Il modo in cui gestisce la squadra, i discorsi prima della partita, gli allenamenti: tutto curato in ogni minimo dettaglio. Un altro pianeta. Il migliore allenatore che abbia mai avuto nella mia carriera insieme a Sandro Prestipino. La sua partenza credo sia dovuta a divergenze di vedute con la società: è uno che non si fa comandare, una persona forte che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Non avrà gradito certe scelte gestionali...”.
“Conoscevo Claudio Mantarro, visti anche i suoi trascorsi sportivi a S. Teresa: ci siamo visti poche volte in qualche torneo ma nulla di più. Il direttore generale Natale Rigano ha fatto un buon lavoro, cercando di coinvolgere il più possibile nuove figure. Ma sin dal primo giorno non mi sono trovata bene con l'allenatore, con il suo modo di vedere e vivere la pallavolo, sia dal punto di vista tecnico e tattico che di gestione delle atlete. Io avrei tenuto Caristi ad occhi chiusi, magari affiancandogli un allenatore della zona cosi da farlo crescere e avere un tecnico pronto a sostituirlo quando sarebbe andato via. Ero comunque incerta sin dal primo momento, non ero sicura di restare già subito dopo il suo arrivo, perché mi era stato fatto capire che se fossi rimasta avrei avuto posto in campo solo come libero”.
“Sì ho sempre ricoperto quel ruolo, e quell’aut aut mi ha portato a riflettere a lungo se rimanere o no. Nel frattempo erano anche arrivate due proposte da società di serie C della provincia. Ero certa che non sarebbe stato un bell’anno, ma la prospettiva di poter raggiungere la promozione in B1, un obiettivo importante da poter aggiungere alla mia carriera. Ma soprattutto non volevo lasciare la squadra, dopo tutti i sacrifici fatti per arrivare a quel livello, a chi magari non ha la mia storia ma è arrivata al Palabucalo secondo la convenienza del momento, senza tenere veramente al bene della società. Questo mi ha portato ad iniziare il campionato”.
“Sì, esatto. Ho fatto un sacrificio pensando che magari sarebbe stato il mio ultimo anno, che a maggio avrei potuto smettere. Ma senza pensarci troppo: la mia famiglia, mio marito mi hanno sempre ripetuto che stava a me decidere quando smettere, senza mettermi davanti a nessun bivio”.
“Sì ho giocato le prime quattro gare. Avevo già iniziato a pensare all’addio da alcune settimane prima della sfida con il team catanese, decisione che poi ho comunicato alla società il mercoledì prima dell’incontro. Non stavo bene in quell’ambiente, ho capito che dovevo iniziare a pensare a me e non più solo agli altri. Ma dire addio non è stata solo una questione legata al dover giocare in un ruolo non mio. Mi sono resa conto che non esisteva più l’ambiente dove sono cresciuta, il gruppo compatto che in passato era stato il punto di forza della squadra. Con il tecnico, inoltre, non è mai scattata quella scintilla che ho sempre avuto con gli altri allenatori nella mia carriera”.
“Fondamentalmente non ho instaurato legami particolari con le altre ragazze. A livello societario gli unici riferimenti con cui ho avuto modo di confrontarmi sono stati il dg Natale Rigano e l’addetto stampa Massimo Ferraro. Non mi è piaciuto l’ambiente che si è venuto a creare: non mi divertivo più agli allenamenti, andavo e non vedevo l’ora di tornare a casa. Mi sono resa conto che rispetto allo scorso anno la società anteponeva l’atleta alla persona: l‘importante era dimostrare di essere forti, giocare e fare risultato. L’arrivo di giocatrici “professioniste” ha fatto sì che ci fosse poca umiltà in squadra. E quando fare ciò che ami si trasforma in qualcosa che non ti fa star bene significa che è arrivato il momento di lasciare. Almeno per quanto riguarda la mia esperienza santateresina”.
“Mi ha dato molto fastidio aver appreso che l’ambiente pallavolistico di S. Teresa ha giustificato la mia scelta con il fatto che ho intenzione di dedicarmi alla mia famiglia, di avere un figlio. In tanti mi hanno fermato chiedendomi se fossi incinta. Ma la vita privata non c’entra nulla e non possono permettersi di dire che ho lasciato per quei motivi. Questa cosa mi ha scosso. Se avessi avuto quei progetti non avrei iniziato la stagione: non avvio mai qualcosa per poi interromperla. É stata fatta passare come una scelta consensuale, ma non è così: mi ha sorpreso come anche i media si siano limitati a riportare la versione della società senza ascoltarmi, come invece state facendo voi adesso”.
“I rapporti con la tifoseria sono sempre stati buoni, li ho sempre rispettati e difesi. Dopo il mio addio non ho sentito nessuno, tranne brevi contatti con Agostino Santarelli e Vittorio Cilione. E questo mi ha deluso tanto: non volevo certo che mi venissero a pregare per tornare in rosa, ma mi aspettavo qualcosa in più. Hanno dimostrato che anche per loro l’importante è vincere, il resto non conta: le giocatrici vanno e vengono, i rapporti umani passano in secondo piano e bisogna continuare senza distrazioni. Capisco che parliamo di serie B ma forse sfugge che siamo sempre a S. Teresa, una piccola realtà, e non a Roma o Milano o tantomeno in serie A. Prima viene la persona e poi l’atleta”.
“Bene. Dal giorno dopo ho ritrovato la tranquillità. Certo, la pallavolo mi manca, ma non smetterò di giocare, sto valutando cosa fare. Sono certa che anche se fossi rimasta, anche raggiungendo la promozione in B1, avrei ricordato questo anno come uno dei più brutti della mia carriera. Sull’Effe Volley ho messo sopra una croce grande quanto il Palabucalo: non voglio avere rapporti più con nessuno dell’ambiente e non potrò mai tornare fin quando ci sarà l’attuale assetto. Certo, mi dispiace un po’ aver chiuso così, mi aspettavo qualcosa di diverso dopo tutto quello che ho dato in vent'anni per il bene della squadra. Le persone che ci sono adesso sono arrivate negli ultimi tre-quattro anni, non hanno mai vissuto la storia della società. Eravamo una famiglia che adesso non c’è più”.
“Non sta a me dirlo, ma per la composizione dell’attuale rosa e per il livello tecnico delle antagoniste credo possano farcela. Auguro loro tutto il bene possibile, anche se non posso condividere certi modi di agire. Non è più una squadra che si identifica con S. Teresa, ci sono troppi arrivi da fuori. Rimane il rammarico di aver creato qualcosa che poi non senti più tuo. Non ho avuto un confronto con nessuna della mie compagne per evitare di creare attriti e passare dalla parte del torto. Bisogna far apparire che va tutto bene, evitando di destabilizzare l’ambiente. Certo, vedere che, ad esempio, anche Matilde Mercieca sta lasciando la squadra è segno che qualcosa non va: anche lei probabilmente non sarà soddisfatta di come vanno le cose. Ma le vittorie nascondono ogni problema e fanno tutti contenti. Spero che riescano a portare avanti questa squadra, nonostante i sacrifici economici che sono necessari per mantenere la struttura: in altre realtà, purtroppo, questa politica finanziaria ha portato a dover ricominciare tutto da zero”.
“Di sicuro non abbandonerò la pallavolo: in questi giorni mi è balenata un’idea su cui ci penserò con calma. A Furci, il mio paese, non c’è mai stata una squadra, anche per carenza di strutture: siamo sempre “emigrate” a S. Teresa. Perché non creare qualcosa, coinvolgere i bambini, avviare un movimento? In molti mi chiedono quando tornerò a giocare, cosa farò. Posso rispondere che la passione non sparirà mai, perché il mondo della pallavolo è una parte di me”.