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La Madonna della Catena e un curioso rituale
di Salvatore Coglitore | 31/10/2013 | STORIA
di Salvatore Coglitore | 31/10/2013 | STORIA
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Il Santuario della Madonna della Catena di Mongiuffi Melia, posto nella valle del Chiodaro, secondo i documenti storici risalirebbe agli inizi del XV secolo. Un certo Matteo Lo Pò di Messina, devoto alla Vergine Santa, fece costruire di fronte ai ruderi dell’acquedotto greco-romano una chiesetta, dove in precedenza esisteva un’edicola dedicata alla Vergine. Essendo troppo fatiscente, l’antico Santuario fra gli anni quaranta e sessanta del secolo scorso venne demolito e ricostruito ed è quello che oggi si può ammirare. I festeggiamenti in onore della Madonna dela Catena durano quattro giorni dal venerdì precedente la prima domenica di settembre fino al lunedì seguente. Caratteristica è la processione che si snoda attraverso le campagne fino a raggiungere il santuario di Fanaca. Ancora oggi, a distanza di secoli, tanti sono i fedeli che si recano al pellegrinaggio alla Madonna della Catena, provenienti da tutta la Sicilia e in particolare della riviera ionica, dove è intesa come ‘a Mathri ‘a Catina ‘a luntana (per distinguerla da quella “vicina” di Roccalumera). Molti fedeli si recano al santuario a piedi durante la notte, per dimostrare la forte devozione. Fino alla fine dell’800 si faceva anche la processione delle “battute”, successivamente vietata. Il racconto di Padre Giampietro Rigano da Santa Teresa
Ecco l’inedita descrizione che ne fa di questa particolare processione il cappuccino Padre Giampietro da S. Teresa (1881-1950) in un suo corposo manoscritto del 1936, intitolato "Raccolta di notizie sulla S. Religione Cattolica e su altri avvenimenti in S.Teresa di Riva e dintorni". Padre Giampietro, alias Giuseppe Rigano, si recò al santuario ancora ragazzino accompagnato dalla mamma e quindi alla fine dell’800; interessante anche il contesto etno-antropologico dei festeggiamenti.
“Qui narro l’impressione subita, da quando da ragazzetto, mi son portato, la festa si celebra la prima domenica di settembre. Da ragazzi, ci ha condotto nostra madre, per un voto fatto assieme, ad un altro fratello, e ricordo che eravamo vestiti di bianco, con una fascia celeste ai fianchi. Si partì di notte tempo, a piedi scalzi, in compagnia d’altri parenti e amici, provvisti un po’ di colazione. Si camminò per tutta la notte, percorrendo tutto il torrente Agrò, fino al così detto Passo di Scifì. Ad un certo punto abbiamo veduto i ruderi del Monastero di S.Pietro e Paolo, di cui non abbiamo capito la loro muta e sublime eloquenza; si saliva per una strada quanto mai disagevole e di tanto in tanto, incontravamo gente che tornava dalla Madonna. Finalmente, dopo un lunghissimo viaggio, si arrivò; ma stanchi e trafelati. A prima vista, si presentò al nostro sguardo un immenso popolo. Chi mangiava, chi dormiva, chi ballava, chi accudiva a vendere cera, fave, nocciuole, carne cotta al forno, ceci; vi erano taverne rusticane, dove si gozzovigliava, e poi suoni di chitarre di violini di contrabbassi, canti anche profani; vi erano un misto di umano e di pretesa religione, e ciò a nome della fede? Ciò in onore della Madonna? La devozione in onore della Madonna della Catena, nei tempi andati, si svolgeva con delle penitenze che giudicate con la mentalità di oggi, sembrano delle esagerazioni. Non parliamo dei pellegrinaggi a piedi scalzi, non parliamo delle lunghe strisciate di lingua per terra sul pavimento della chiesa, in atto di profonda umiliazione, o dei digiuni, fino all’estenuazione del corpo, e dei pellegrinaggi, sfidandone tutte le difficoltà e i disagi. I voti fatti in questo modo potevano avere una certa moderazione. Parliamo di una penitenza che rispettiamo, anche se al modo di vedere odierno sa di fanatismo. Si tratta delle cosìddette “battute”, come le chiamavano allora. Ecco in che consistevano. Coloro che ne avevano fatto il voto, tutti riuniti, si fermavano a distanza dalla chiesa, qui si spogliavano, restando coperti, col solo costume da bagno, quasi nudi; già si era preparata una ferula su cui vi erano inflitti degli aghi, o spilli, da renderne sporgenti le punte o altri strumenti di altre flagellazioni, quando, all’esclamazione: "Viva la Madonna della Catena" tenendo in mano, questa ferula e questi strumenti di penitenza, già come abbiamo detto irti di pungentissimi, spilli, aghi ed altro, si battevano per tutte le parti del corpo, flagellandosi a sangue. Tutto il corpo veniva insanguinato, mentre l’individuo si avvicinava verso la Chiesa. L’insieme di questi penitenti devoti, che si flagellavano, la vista dei corpi insanguinati,le grida,l’esclamazioni costituivano un quadro che faceva veramente ribrezzo. L’autorità giustamente lo ha proibito e questa proibizione, ora da recente, verso il 1890 per ricorso di alcune persone autorevoli, non locali […]".